Gds: “Cuori rosanero. Favo «Che gioia quella Coppa, ora non è facile senza i tifosi»”
L’edizione odierna del “Giornale di Sicilia” riporta le dichiarazioni di Massimiliano Favo, l’unico capitano del Palermo del dopoguerra ad aver alzato al cielo la Coppa Italia di Serie C del 1993.
«Fu bello alzare quella Coppa – racconta Favo che adesso allena la nazionale azzurra Under 17 -. Il ritorno in casa contro il Como fu una passerella perché all’andata avevamo già vinto 2-0, fu il giusto coronamento di una stagione straordinaria. Ma fu la più bella.
Avevamo già vinto due anni prima con Ferrari in panchina, ma in modo stentato, eravamo perfino stati due mesi in ritiro. Nella stagione 1992-93 non avevamo grandissime individualità, ma un gruppo di giocatori espertissimi e molto legati tra noi. Io, Battaglia, Cecconi, Spigarelli, Serra e Orazi ci guidò in maniera straordinaria. Con i compagni di quell’anno abbiamo una chat su whatsapp con cui ci sentiamo quasi giornalmente».
«Non scherziamo. Tecnicamente non c’è paragone. Giocatori come Battaglia in C non ci sono. Oggi si corre tanto ma non si vede un tunnel, né un doppio passo. Credo che tutto il calcio, a cominciare dalla Serie A, sia andato indietro sul piano tecnico.
Io accettai subito, a Napoli c’erano Alemao, Bagni, Di Napoli era una squadra stellare e difficilmente avrei trovato posto. Volevo giocare e se il Palermo ci avesse provato avrebbe preso anche Zola. Invece preferì Musella. Fu un bene per Zola, che andò a Napoli e grazie anche agli insegnamenti di Maradona fece una grande carriera».
«Fu una giornata indimenticabile, racconta. Cinque giorni prima del 6 giugno del 1984, quando Diego si presentò al San Paolo davanti a sessantamila spettatori, io avevo vinto lo scudetto Allievi col Napoli. Così quando arrivò Maradona fummo chiamati in campo come avanspettacolo della presentazione di Diego.
E poi lui stesso ci premiò, il primo scudetto che vide fu quello delle nostre maglie. Sei mesi dopo io fui aggregato alla prima squadra e cominciai ad allenarmi con lui. Ho un ricordo bellissimo di Maradona. Intanto faceva in allenamento cose straordinarie, difficili anche da raccontare. Ma lo ricordo con affetto per la sua generosità. Era una specie di paladino dei deboli. Controllava sempre che i premi partita fossero ripartiti in modo corretto, perché i più giovani e chi giocava di meno fossero rispettati. Io ho avuto la fortuna di conoscere il primo Maradona, il più forte, il calciatore che non si era ancora lasciato andare.
Prima di partire per il Messico nel 1986 ci salutò dicendo: vado a vincere il Mondiale. Ha pianto anche mio padre a ottantuno anni. Diego ha fatto felice
un’intera generazione di napoletani. Sento parlare in questi giorni tanti a sproposito, gente che ritiene eccessivo questo dolore per la scomparsa di Diego. Ma che ne sanno di quanto Maradona abbia fatto per Napoli? Una città che veniva dal terremoto, con problemi di ogni genere. Ha regalato felicità e vittorie a una intera regione che non era abituata a vincere, e lo ha potuto fare anche perché Napoli l’ha trattato come un re.
Del resto Maradona solo al Sud avrebbe potuto giocare, a Napoli, a Palermo, a Reggio Calabria».
«A Palermo ho giocato più che in qualsiasi altra squadra. Ed ho giocato negli anni migliori della mia carriera, da 23 a 28 anni.
A Palermo è nata una mia figlia, non ho mai fatto il gesto plateale di baciare la maglia ma Palermo lascia nel cuore qualcosa che non si può cancellare mai. Tuttora non mi perdo una partita della squadra rosanero » .
«Certo giocare senza pubblico sta penalizzando la squadra rosanero.
Lo stadio “Barbera” dà una spinta incredibile.
Il Palermo è una buona squadra e la mano di Boscaglia ora si vede. In queste ultime partite ho visto movimenti in avanti molto belli. Per me ha un problema, a parte Silipo non ha giocatori bravi a saltare l’avversario. E allora deve cercare di sfruttare al massimo le palle inattive. In casa per me deve giocare sempre in questo modo perché Saraniti ha bisogno di avere un altro attaccante vicino, in trasferta potrebbe cambiare qualcosa».
«Bari e Ternana hanno speso tantissimo. Palermo è una piazza difficile per i presidenti, ma io ho fiducia in Mirri e nella sua idea che bisogna entrare nel grande calcio dalla porta principale. Fa bene il Palermo a costruire un centro sportivo, un club deve avere anzitutto una sua casa. Se poi per arrivare in alto occorrerà qualche anno in più pazienza, l’Atalanta c’è arrivata a piccoli passi».