Gds: “«Al Nord picco in settimana, nel Meridione troppe incognite». Intervista a Domenica Matranga, docente di Statistica medica all’Università”

L’edizione odierna del “Giornale di Sicilia” riporta le dichiarazioni di Domenica Matranga, professore associato di Statistica medica all’Università di Palermo: «Il primo elemento da considerare – dice la professoressa Matranga – è il fattore R-zero, ovvero il tasso netto di riproduzione dell’infezione. Ovvero quante persone vengono infettate in media da ogni positivo al virus. Una ricerca pubblicata sulla rivista britannica Lancet parla di un minimo di 2,76 persone fino a 3,25 calcolato al 13 marzo. Da qui la necessità di politiche che hanno ridotto al minimo il contatto sociale per far scendere questo dato. Oggi è tra 2 e 3. Solo quando si arriva a un R-zero di uno, un nuovo malato per ogni positivo, si può dire che la pandemia è sotto controllo». Il totale dei casi di positivi al virus in Sicilia dal 13 marzo fino a domenica ha avuto percentuali di incremento che variano dal 13 al 24 per cento rispetto al giorno precedente, con una sola punta del 30 per cento il 18 marzo. L’ultimo rilevamento ieri, 91 nuovi casi, dà un incremento del 14 per cento, uno dei più bassi. Un buon segno? «Al Nord vengono raccolti dati dal 21 febbraio, l’epidemia in Sicilia ha iniziato a diffondersi una decina di giorni fa. È ancora presto per stabilire una tendenza. I dati sono troppo pochi. Sui numeri siciliani influiscono due fattori. Il primo è che i provvedimenti di restrizione dei movimenti sono stati presi in anticipo, quando il numero dei casi era molto basso rispetto a quel che accadeva al Nord. Un fattore positivo: questo rallenta l’espansione del virus. Il fattore negativo è che bisogna considerare gli effetti del ritorno di oltre trentamila persone dal Nord che è avvenuto in varie ondate, dall’8 marzo in poi. Quanti non hanno rispettato la quarantena? Dopo il contagio la malattia sorge dopo una media di sette giorni, ovvero al massimo in due settimane. Quindi nei prossimi giorni sapremo se questi ritorni avranno aumentato i casi e di quanto». Ha senso confrontare i dati cinesi con quelli italiani e quali sono i limiti di questo confronto? «I dati della provincia di Hubei, da dove si è diffuso il virus, sono interessanti perché riguardano una popolazione di 60 milioni di abitanti, simile all’Italia. La differenza è che in Cina, dove c’è un regime e quindi maggiore controllo sociale, e anche in Corea, la gente è stata costretta a restare in casa. Il livello di compliance, ovvero di adesione alle direttive, in questi Paesi, è altissimo. In Italia prima si è diffusa la falsa notizia che si trattasse di una influenza un po’ più pericolosa e poi, anche quando si è capito che non era così, molti sono usciti lo stesso». Perché il tasso di mortalità in Italia è così alto rispetto alla Cina? «Ci sono tre strade per ridurre il contagio: il distanziamento sociale negli spazi pubblici, estendere il più possibile il numero delle quarantene, ovvero chi non esce di casa, e poi la diagnostica a tappeto con i tamponi. In Italia abbiamo imboccato solo le prime due. La terza ha permesso a Cina e Corea di trovare un gran numero di positivi asintomatici. Ciò ha fatto arrivare il tasso di letalità, ovvero il numero dei morti diviso il numero di positivi totale, in Cina allo 0,9 fuori della provincia di Hubei e di 3,8 in totale, contro una media attuale in Italia che arriva al 9 per cento. Se applichiamo il dato di letalità in Cina all’Italia significa che da noi i positivi al coronavirus sono almeno tre volte di più». Il famoso picco quando sarà raggiunto? «Nel Nord Italia dove abbiamo un mese di dati, si può ipotizzare, anche con il conforto di uno studio di ricercatori dell’Istat, che cadrà entro questa settimana con una riduzione graduale dei casi nel mese di aprile. Al Sud è ancora presto per dirlo. Si può pensare che il picco sia spostato in avanti di due settimane a causa del flusso migratorio dall’istituzione della zona rossa al Nord in poi». Come ne usciremo? «Arriveremo a un punto che i nuovi casi si ridurranno sempre più. Si calcola che serviranno quaranta giorni per far diventare la curva dei casi piatta, cioè nessun nuovo positivo. Ma questo periodo potrà allungarsi anche di una decina di giorni e questo dipenderà anche dai nostri comportamenti. Dovremo aspettare le guarigioni dei casi ancora esistenti e dovremo comportarci sempre con prudenza».