L’edizione odierna de “Il Giornale di Sicilia” si sofferma ampiamente sulla tragica scomparsa di Totò Schillaci e parla di un omaggio da parte del Comune di Palermo.
Le passioni hanno il potere di trasformare la vita di una persona, e fu proprio un incantesimo a cambiare il destino di Totò Schillaci, un ragazzo del quartiere Cep di Palermo, che, per tirare avanti, si arrangiava con mestieri umili. Quel ragazzo diventò una leggenda. Dopo aver fatto gavetta all’Amat e al Messina, Schillaci approdò alla Juventus con uno sguardo incredulo. Ma fu durante le “Notti Magiche” del Mondiale del 1990, cantate da Gianna Nannini e Edoardo Bennato, che il suo nome si trasformò in mito. Quelle notti, intrise di entusiasmo nazionale, si conclusero però senza il lieto fine sperato, con la sconfitta ai rigori contro l’Argentina al San Paolo di Napoli, stadio innamorato di Maradona. Schillaci, premiato come capocannoniere del torneo, ricevette la Scarpa d’Oro, una sorta di risarcimento che però non poteva consolare il suo cuore.
Il Mondiale del ’90 fu per Schillaci una sorta di epopea moderna: entrato in squadra come riserva di Vialli, divenne in pochi giorni l’eroe sfortunato di un’intera nazione, come un moderno Achille. Prima di quel torneo, Totò non aveva mai segnato in Nazionale, ma in quelle poche settimane scrisse la sua storia di gloria e dolore. La sua immagine mentre si avventava in area di rigore, con lo sguardo vorace, rimarrà per sempre impressa nella memoria collettiva, come una cartolina di un’epoca ormai lontana.
Anche oggi, mentre il tempo sembra fermarsi davanti alla triste notizia della sua morte, è impossibile non partire da quel Mondiale per raccontare l’ultimo saluto a Schillaci. Pioggia e qualche raggio di sole hanno accompagnato l’allestimento della camera ardente allo stadio Renzo Barbera. Il governatore Renato Schifani ha dichiarato: «Schillaci è stato forse il giocatore più popolare a livello globale. Una persona umile e trasparente, come dimostrava lo stupore che seguiva i suoi gol». Anche il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, ha espresso il suo cordoglio: «Un giorno triste per Palermo e per lo sport italiano. Ringrazio il Palermo Calcio per aver concesso questo luogo per un ultimo saluto a un giocatore che ha raggiunto risultati straordinari nel mondo, ma è sempre rimasto palermitano dentro».
Tra i tanti presenti, anche i giocatori del Palermo, che hanno reso omaggio in religioso silenzio. Dario Mirri, presidente del Palermo, ha ricordato Schillaci come un simbolo di riscatto per un’intera generazione, sottolineando il desiderio di Totò di giocare per il Palermo, un sogno che però non si realizzò mai del tutto. In assenza di Roberto Baggio, che non è riuscito a partecipare di persona, il “Divin Codino” ha scritto su Facebook: «Ciao mio caro amico, anche stavolta hai voluto sorprendermi. Rimarranno per sempre impresse nel mio cuore le notti magiche di Italia ’90 vissute insieme».
Nel pomeriggio, centinaia di persone hanno varcato i cancelli dello stadio per rendere omaggio al campione. Sopra la bara, decorata con fiori e la maglia azzurra numero 19 di Italia ’90, si ergeva una foto dei bei tempi. I familiari, protetti da un cordone che teneva lontani i curiosi, erano presenti per l’ultimo saluto. Tra loro, la seconda moglie Barbara, con la quale Totò si era sposato nel 2012, in una giornata particolare in cui l’Italia affrontava l’Irlanda. I fratelli di Schillaci, il padre Domenico, e i suoi figli Mattia, Jessica e Nicole erano lì a condividere il dolore della perdita. Mattia, nato durante quel famoso Mondiale del 1990, fu parte di un capitolo importante della vita di Totò, tanto quanto lo furono le sue imprese calcistiche.
Quella storia gloriosa iniziata con un gol decisivo contro la Cecoslovacchia a Roma, che poi proseguì con una serie di prestazioni indimenticabili, portò Schillaci a diventare il simbolo di un sogno collettivo. Un ragazzo di periferia che riuscì a raggiungere il successo grazie al suo talento e alla sua determinazione. Per Totò, il calcio rappresentava molto più di un semplice sport: era lo strumento che gli permise di uscire dalla miseria, di superare la timidezza e di affrontare le difficoltà della vita. E anche se la vita lo ha portato a dover lottare contro la malattia, Schillaci ha affrontato tutto con il coraggio di sempre, fino alla fine. Come un grande campione, ha giocato la sua ultima partita, fino a quando tutto è diventato “muy triste, muy solitario, muy final”.