“È stata qui la festa. Però una sola, quella già sicura prima che si iniziasse. Dunque Re Totò, alla partita numero 445 con l’Udinese, ha riconsegnato la corona alla sua gente, e chissà quando Udine amerà di nuovo uno come Di Natale, e quanto ha amato lui. Dunque il Carpi ha restituito il biglietto per il teatro di gala dopo aver ballato per un solo anno, e ieri sera una volta di più gli è venuto amarissimo chiedersi quando ci tornerà, per quanto è stato vicino, ma davvero vicino, al miracolo: tenersi una Serie A che alla fine avrebbe anche meritato, se non si fosse suicidato domenica scorsa. La beffa è stata illudersi anche, per pochi minuti, aggrappato a tablet e cellulari che rimandavano il risultato di Palermo e ad un pareggio del Verona troppo breve per essere vero. La beffa, ripensando ai due rigori sbagliati da Mbakogu contro la Lazio, è stata vedere come Verdi ha trasformato quello dell’10 (contatto FelipeLasagna: furbo l’attaccante e ingenuo il brasiliano, ma si poteva non dare). E poi come il ragazzo in prestito dal Milan, un trequartista vero e non «inventato» come Lollo, ha spaccato e risolto la partita subito dopo, con un gol da favola dopo aver ubriacato mezza Udinese: se Castori lo avesse avuto di più (è stato infortunato a lungo) e magari utilizzato un po’ di più quando è tornato disponibile… V I D E O S A L U T I Così, una vittoria agevolata anche dall’espulsione di Thereau (chissà cosa avrà detto a Mazzoleni) alla fine ha fatto solo da contorno all’apoteosi di Di Natale. Un film dal copione già scritto, compreso l’omaggio di tutti gli attori in campo, dal rigore generosissimo (contatto PorcariWidmer) fischiato da Mazzoleni un minuto dopo l’ingresso in campo di Totò al «non tuffo» di Colombi sul suo tiro dal dischetto: gol numero 209 in Serie A. Da quel momento è cominciata davvero la festa: una notte di (video)saluti (Spalletti, Guidolin, Buffon, Totti, la moglie Ilenia, Alexis Sanchez), striscioni, ricordi, abbracci, applausi anche per Pasquale e Domizzi, al giro d’onore per la loro storia bianconera. LACRIME Notte di commozione, soprattutto. Ha pianto il cielo di Udine sul prato della Dacia Arena che quest’anno Di Natale ha fatto in tempo a calpestare così poco, molto meno di quanto si sarebbe aspettato. Hanno pianto i tifosi che ieri erano allo stadio, e l’hanno riempito, per l’ultima volta del capitano con la loro maglia numero 10. E ha pianto lui, abbracciato in campo alla moglie e ai due figli, a rivedersi su maxischermi che proiettavano brividi e storia. Lui che qui ha iniziato a mettere radici e spargere gol nel 2004, dodici campionati fa. «Voglio ringraziare», ha detto poi, «la mia famiglia, i compagni e i tifosi ai quali è dedicato il gol di stasera e poi il mio presidente (che ha promesso a Udine «uno sforzo per fare ancora meglio di questi anni») e il mio allenatore Silvio Baldini. Sono stati 12 anni di grandi emozioni». Ora a Di Natale resta da segnare il gol più difficile, ovvero fare la scelta giusta: smettere per iniziare subito un percorso dirigenziale con l’Udinese o dare retta al brivido che dentro certi attaccanti non muore mai, quello di provare a fare i sette gol che gli restano per raggiungere a quota 216 Altafini e Meazza. Dunque concedersi, se qualcuno penserà davvero a lui, un altro anno in Serie A. Magari, perché no, nella «sua» Empoli”. Questo quanto scrive l’odierna edizione de “La Gazzetta dello Sport”.