Gazzetta dello Sport: “Sicilia in declino: «Buttanissima isola. Solo i talenti in fuga possono salvarla»”
“«Vattinni», consigliava Alfredo (Philippe Noiret) a Totò (Totò Cascio) in «Nuovo Cinema Paradiso» di Giuseppe Tornatore, «ognuno ha una stella da seguire»: davanti al mare mai addomesticato, il vento che spettina i pensieri, la Sicilia icona dei forti e dei sentimentali diventa «terra maligna», che nulla offre, e se vuoi realizzare qualcosa di grande devi partire, andare lontano e un giorno, magari, tornare. «Vattinni», sì, «vattene via», ricorda Pietrangelo Buttafuoco, scrittore di successo, quando gli si chiede perché a 10 anni dal boom del calcio siciliano non c’è una svolta imprenditoriale, «perché poche famiglie nell’isola programmano la loro vita lì, non lo fanno le alte cariche dello Stato nate in Sicilia e non lo fanno gli altri, perché la gente scappa, e chi viene ad investire lo fa perché considera i siciliani più parte di un colore che di un destino». Una storia antica, Buttafuoco. Nella vita, nello sport: 10 anni fa 3 squadre in Serie A erano l’invidia dell’Italia, 10 anni dopo il deserto… «Ciclicamente si verificano eventi costruiti da un grande entusiasmo. Lo stesso che rivive Napoli in questi giorni per il ritorno di Maradona. Ma la Sicilia ha nel suo Dna il trauma: siamo stati massacrati dall’unità d’Italia, trasformati in una clientela secondo i codici dell’assistenzialismo, più che in un popolo protagonista. E ci si trova più facilmente nel ruolo di colonizzati, ovvero spesso anche tifosi di squadre altrui». A Palermo è toccato in sorte Zamparini venuto dal Nord, che del bene ha fatto ai suoi tifosi. «E forse anche lui ha visto in questa gente l’eccentricità, il pittoresco, in un contesto in cui per anni c’è stato il deserto. Il problema è il dopo». Nella sua fortunata opera «Buttanissima Sicilia», lei racconta di un’isola incatenata, legata ad una sorta di sortilegio, incapace di spezzare il giogo della politica. «E di opporsi anche alla retorica, come quella del presidente della Regione Crocetta, che ormai è pure un’esperienza da considerare chiusa. Un politico che invece di risolvere i problemi li criminalizza, un atteggiamento già visto in Sicilia. Come quando si parla di mafia e antimafia, oppure del Ponte sullo Stretto che se si fa vuol dire che interessa alla mafia, se non si fa vuol dire che non lo vuole Cosa Nostra». I siciliani amano farsi del male. «Paghiamo il prezzo di una malintesa autonomia. Ormai la narrazione ha annoiato tutti, va bene solo per le fiction. Le porto l’esempio di Ragusa. Una turista qualche giorno fa cerca a tutti i costi di raggiungere il museo archeologico e dopo vari sforzi, senza indicazioni stradali, finalmente lo raggiunge, ma lo trova in pessime condizioni. Alla fine, anche il direttore del museo dice: “Se dobbiamo tenerlo così, tanto vale chiuderlo”. Ancora: l’altro giorno percorro da Catania la via che porta sull’Etna e trovo tanta immondizia ai margini delle strade. Altro esempio: la Sicilia, rispetto alle altre isole del Mediterraneo, ha le coste più lunghe. Ebbene, oggi ti conviene però scegliere le Baleari perché andare in vacanza in Sicilia non è più conveniente, perché non c’è una valida strategia dietro. Abbiamo un aeroporto a Comiso che, con tutto il rispetto per Pio la Torre, avrebbe dovuto chiamarsi Gesualdo Bufalino: avrebbe rivelato di più il territorio, sarebbe stato partecipe di una realtà. E non a caso penso a Ragusa, alla Val di Noto, ai luoghi del Commissario Montalbano. Posti di una bellezza inaudita». Ma allora, seguendo il ragionamento di Alfredo, solo i siciliani che hanno vissuto all’estero possono salvare, tornando a casa, il made in Trinacria? «Cu nesci arrinesci… Con buona pace del Ministro del Lavoro Poletti, ci sono ragazzi siciliani eccezionali che fanno ottima imprenditoria anche ad Astana, in Kazakistan. La speranza è che un giorno vengano a riprendersi loro, la Sicilia».”. Questo quanto riportato da “La Gazzetta dello Sport”.