“Il quadro clinico sembra progredire ma è un pannicello caldo, il malato Serie A resta grave e continua a preoccupare. Per la diagnosi bastano due numeri, emersi dalla tradizionale inchiesta della Gazzetta: è vero che nel 2015-16 la perdita aggregata del massimo campionato è stata di 222 milioni (contro i 365 della stagione precedente) ma i debiti complessivi, al netto dei crediti, non accennano a diminuire, anzi salgono a quasi 1,9 miliardi, 150 in più in 12 mesi, e come spiegazione non basta l’assenza del fallito Parma dai conteggi del 2014-15. Anche perché lo scorso anno è scattato il nuovo ciclo di vendita dei diritti tv e ci si sarebbe aspettato un diverso utilizzo degli oltre 100 milioni netti finiti nelle casse dei club di A, che anziché ridurre le esposizioni o produrre investimenti sul medio-lungo termine sono incappati nel solito vizietto: spendere e spandere alla voce stipendi. Così, se il fatturato della Serie A, al netto delle plusvalenze, ha toccato per la prima volta nella storia i 2 miliardi (2,042 per la precisione), il costo del lavoro è cresciuto di un centinaio di milioni, raggiungendo quota 1,4 miliardi e trascinando i costi totali a 2,5 miliardi. La gestione caratteristica del massimo campionato brucia ancora mezzo miliardo e ci pensano gli oltre 300 milioni di plusvalenze ad attutire le perdite nette ai 222 milioni di cui sopra.
NUOVI MECENATI Nel corso della scorsa stagione gli azionisti hanno dovuto mettere mano al portafogli versando complessivamente 400 milioni tra conto capitale e prestiti. Spicca la svolta dell’Inter che poggia ora sulle spalle forti di Suning, ma, a parte le costanti iniezioni di Fininvest nel Milan e il supporto dei Della Valle per la Fiorentina — sono da rimarcare i pesanti interventi dei mecenati di provincia, Saputo a Bologna (35 milioni di aumento di capitale nel solo 2015-16) e Squinzi a Sassuolo (26 milioni prestati da Mapei nell’anno solare 2015, senza contare i 23 sotto forma di sponsorizzazione). Chi opera, per scelta o per necessità, in regime di autofinanziamento deve fare i conti con una crisi di liquidità che i ricavi incrementali dei diritti tv non sono riusciti ad arginare. Esemplare ciò che scrivono gli amministratori della Sampdoria è bastato il deludente piazzamento nell’ultimo torneo a generare una tensione finanziaria, risolta con gli anticipi in banca mentre sul mercato sono stati ceduti i pezzi pregiati. E la Samp, grazie alla dote lasciata da Garrone a Ferrero, non è gravata da pendenze pregresse come Genoa, Palermo, Chievo, Empoli. Preoccupano, in particolare, Genoa e Palermo che avrebbero bisogno di robuste iniezioni di capitali. È ciò che ha dovuto fare Pallotta a Roma, alla luce di una semestrale priva delle consuete plusvalenze. Gira e rigira, è sempre il trading a fare da spartiacque: basti pensare all’Udinese, all’Atalanta. La sostanza, però, è un’altra. La Serie A continua ad avere troppi debiti.
TROPPO ESPOSTI Quelli con le banche e gli istituti di factoring sfiorano ormai quota 1,2 miliardi, in una crescita inesorabile (erano mezzo miliardo nel 2008-09), quelli con i fornitori ballano da qualche anno attorno a 400 milioni, con alcune piazze in cui i ritardi dei pagamenti sono diventati una prassi. Insomma, l’inversione di rotta non si vede, anche perché il fatturato resta fortemente sbilanciato sui proventi tv: compresi i diritti delle coppe europee e d’archivio parliamo di 1,2 miliardi, cioè del 60% della torta, contro i 400 milioni (20%) del commerciale, gli appena 200 (10%) dello stadio e i restanti 200 (10%) di altri ricavi.
NUOVE NORME La Federcalcio, scottata dal crac del Parma, tiene le antenne dritte e sta compiendo un’attenta azione di monitoraggio, in particolare rispetto ai nuovi parametri inseriti nelle licenze, come l’indice di liquidità, che testimonia la capacità di un club di far fronte ai propri fabbisogni nel breve termine. L’indice è già entrato in funzione, tanto che le squadre che l’hanno sforato hanno avuto un limite sul mercato di gennaio (prima le cessioni, poi gli acquisti): sarà vincolante per l’ammissione al prossimo campionato ed è per questo che la Figc, attraverso la Covisoc, sta seguendo i club più in difficoltà. Doverosa prevenzione.
CONTROCORRENTE In uno scenario a tinte fosche gli esempi veramente positivi sono pochi. Come la Juve, capace di primeggiare in campo e fuori e proiettata verso il terzo utile di fila. Se consideriamo la gestione caratteristica al netto delle plusvalenze, a parte le meteore Carpi e Frosinone, la performance migliore è quella del Torino: la riprova sta nel fatto che è l’unico club di A, assieme al Napoli, a non avere debiti con le banche e, allo stesso tempo, a non chiedere soldi alla proprietà”. Questo ciò che si legge sull’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport”.