Gazzetta dello Sport: “Scudetto senza 10. Ma si può? Le big non puntano sul numero più magico. O manca o è in panca. Ecco tutti i numeri 10 in A. Hiljemark…”

“Se fate un giro nello spogliatoio di una squadra di bambini poco prima dell’inizio di una partita, sentirete solo una frase­ritornello: «Mister, posso avere il numero 10?». I bimbi la vogliono perché, per fortuna, vivono ancora la dimensione del sogno: il 10, da sempre, è magico e speciale. Il 10 è il numero che scrive l’ultima pagina della storia; che batte le punizioni all’incrocio; che dribbla tutti gli avversari come si fa solo all’oratorio; che vede la giocata che gli altri nemmeno immaginano. Ecco, il 10 è sparito: in Serie A non c’è più. O meglio, è nascosto. Nella lotta scudetto non sarà decisivo: la Juve (per la seconda volta in cinque campionati) non ha assegnato quella maglia, il Napoli l’ha ritirata in omaggio a Maradona, la Roma l’ha parcheggiata in panchina sulle nobili spalle di Totti (e chissà cosa accadrà quando Francesco smetterà), l’Inter su quelle meno prestigiose di Jovetic. E se consideriamo anche le squadre che inseguono un posto in Europa, la situazione non cambia: per il Milan Honda è un campione sì, ma del marketing; il Sassuolo ha lasciato che il 10 passasse da Sansone a Matri senza considerare l’ipotesi­Berardi, che comunque non aveva avanzato la propria candidatura; la Lazio continua ad affidare quella maglia speciale a Felipe Anderson, che ha nel dna qualche colpo da 10 vero, ma non la continuità e la centralità (tattica e caratteriale) dei più grandi; la Fiorentina ha voluto premiare e responsabilizzare Bernardeschi, ma le pennellate disegnate con il 10 viola da Antognoni e Baggio sono difficilmente riproducibili. In pratica, l’unico vero 10 classico della Serie A (in attesa di scoprire le qualità dell’udinese De Paul) è Riccardo Saponara: trequartista, giocatore tecnico, leader della sua squadra. Che però è l’Empoli e lotterà per la salvezza. Per il resto, con quella maglia giocano attaccanti (Destro, Matri), esterni o fantasisti (Gomez, De Giorgio, Ljajic, Benali), centrocampisti (Joao Pedro, Ntcham, Hiljemark, Bruno Fernandes). Il Chievo, che una volta diede il 10 al portiere Lupatelli, stavolta non l’ha assegnato e in compenso De Guzman ha preso l’1. GLI ANNI D’ORO Il passato racconta la grande avventura di Sivori, Suarez e Rivera: era un calcio diverso, ma bellissimo. Un vero fenomeno di massa e loro, i 10, erano gli eroi popolari che spesso decidevano gli scudetti. Nel 1984­85 la Serie A sfoggiava davanti al mondo intero la sua irripetibile collezione di numeri 10: Diego Maradona, Michel Platini, Zico. Ma quella era un’epoca in cui quasi tutte le squadre, più o meno forti, si costruivano attorno al 10: la Fiorentina di Antognoni (prima) e Baggio (poi), la Roma di Giannini, la Sampdoria di Mancini. La Juve del 1994­95 ne aveva addirittura due: Baggio titolare, Del Piero quasi. L’introduzione dei numeri fissi, però, ha sparigliato tutto. Se non ci fossero i numeri fissi, a chi darebbe il 10 della Juve ogni settimana Massimiliano Allegri? A Paulo Dybala, che invece continua a correre con il suo 21 nonostante l’addio di Pogba e la possibilità di prendere la maglia di Sivori, Platini, Baggio e Del Piero. Dybala sa che nell’Argentina ancora per un bel po’ il 10 sarà associato a Messi e allora ha preferito percorrere un altro pezzetto di strada con il 21, che tra l’altro nella Juve non è un numero banale visto che l’hanno indossato Zinedine Zidane e Andrea Pirlo. Ecco la chiave: la riconoscibilità mondiale, che porta a una scelta di fidelizzazione. Io non sono solo come gioco, ma sono anche il numero che indosso: viviamo in un mondo social e due cifre sono facili da memorizzare. Molti calciatori creano prodotti commerciali e marchi con le iniziali del nome e il numero di maglia. Pirlo ha avuto un breve periodo da giovane promessa con il 10 e una carriera leggendaria da Maestro con il 21, indossato anche in Nazionale e ovviamente esportato in America. Messi contro Cristiano Ronaldo è 10 contro 7: il portoghese avrebbe potuto cambiare in ogni momento ma lui è affezionato al «suo» numero. Nel suo piccolo, Berardi sta facendo conoscere il 25 (e sarà un piccolo problema dovervi rinunciare in caso di convocazione al Mondiale: lì si arriva solo fino al 23). GLI ALTRI SPORT Il dribbling al 10 garantisce anche un più comodo ingresso nella storia: si può scegliere tra 99 numeri, molti dei quali sono pagine bianche ancora da scrivere. Nel basket Nba quanti fuoriclasse sono entrati nella leggenda con lo stesso numero? Due: Michael Jordan e LeBron James, che scelse il 23 proprio in onore di MJ (utilizzandolo, però, solo a Cleveland: a Miami era stato ritirato proprio come omaggio a Jordan, anche se non aveva mai giocato lì). Nella MotoGp non accade più che il campione del mondo lasci il suo numero per prendere l’1: merchandising, certo, ma anche il piacere di essere unici e facilmente riconoscibili. Però, in attesa che il numero 10 torni a infiammare la lotta per lo scudetto, ricordiamo con nostalgia la frase di Alessandro Del Piero nei giorni del suo addio: «Il numero 10 della Juve non deve essere ritirato. È bello che tutti i bambini possano sognare di giocare con quella maglia». Quando Ale andò a Sydney, la chiese Giovinco: gliela negarono. Poi fu assegnata a Tevez e a Pogba, adesso è in magazzino. Tanti bambini continuano a sognarla, magari mentre la chiedono al loro allenatore, il sabato pomeriggio, al torneo dei Primi Calci. Per loro non c’è marketing: c’è solo un pallone che rotola e un numero magico da indossare.”. Questo quanto si legge sull’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport”.

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Redazione Ilovepalermocalcio