L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” si sofferma sul paradosso dell’Italia con la convocazione degli oriundi in azzurro.
Roberto Mancini ha deciso di convocare Mateo Retegui, centravantone argentino e italiano del Tigre, perché “ha qualità che a noi mancano”. In Under 21 sarà invece chiamato Bruno Zapelli, altro italo-argentino, fantasista del Belgrano. Come succede ormai a quasi tutte le nazionali del mondo, il servizio di scouting del Club Italia setaccia ogni campionato in cerca di azzurrabili. Anche quelli che il nostro Paese non l’hanno mai visto. Il paradosso è che in Italia, invece, ci sono tantissimi ragazzi che la maglia della Nazionale non la possono indossare: sono nati qui, parlano italiano, spesso pure con un forte accento regionale, frequentano la scuola italiana, praticano sport nelle società italiane. Sono i figli degli immigrati, gli italiani “di seconda generazione”.
Italiani in tutto e per tutto che però non lo sono ancora per legge. Nello specifico, la legge numero 91 del 5 febbraio 1992, quella che regola la cittadinanza. Nel nostro Paese si ottiene per ius sanguinis: in breve, chi nasce da genitori di nazionalità italiana è italiano. E i figli degli stranieri, quelli senza la cittadinanza italiana? No: quelli ereditano la nazionalità dei genitori e devono aspettare di compiere i 18 anni. E a quel punto fare richiesta ufficiale e dimostrare di essere residente in Italia dalla nascita alla maggiore età, senza interruzioni (e rinunciare alla nazionalità di origine). Il tema è molto più complesso e scivoloso, ma nel ristretto campo dello sport porta alla conseguenza che tanti bravi ragazzi con il pallone, nati e cresciuti qui, non possono essere convocati nelle nazionali giovanili perché non hanno il passaporto italiano.