L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” si sofferma sulla candidatura dell’Italia a Euro 2032 e l’esclusione di Palermo.
Se fosse in gioco soltanto l’Europeo potremmo anche affrontare con leggerezza la sfida di Euro 2032. Non ospitiamo una fase finale dal 1990 e tutto sommato siamo sopravvissuti, sebbene sia mancata la continuità, un Mondiale e un Europeo vinti, altri due Mondiali visti alla tv. Ma qui è in gioco molto di più: è in gioco il calcio italiano. Euro 2032 è una di quelle porte del destino. Possiamo entrare nel futuro oppure restare in questo passato cui siamo incatenati da tempo e dal quale nessuna semifinale di Champions tutta italiana potrà mai liberarci. Perché in campo vanno undici, ma quando il sistema che gira attorno ti mette nelle migliori condizioni è un’altra storia. E noi non siamo nelle migliori condizioni: stadi, spettacolo, diritti televisivi, riprese, litigiosità, spese per agenti e per stipendi. Avere Euro 2032 sarebbe una ripartenza o, giusto come si chiama il progetto federale, quel “nuovo rinascimento” di cui abbiamo disperatamente bisogno. Non possiamo permetterci di perdere, Ma non sarà facile. A sei mesi dall’assegnazione, al fixing siamo in svantaggio sulla Turchia. Situazione che possiamo ribaltare. A patto che…
Abbiamo ancora addosso lo scandalo del 2012. La candidatura italiana era di gran lunga la migliore rispetto a Croazia-Ungheria e, soprattutto, a Polonia-Ucraina, la peggiore in tutti i sensi. Ma in quel drammatico 2007 a Cardiff prevalsero altre considerazioni — la cordata di votanti legata ancora al presidente Johansson e vogliosa di far sentire il suo peso politico al neoeletto Platini — e i “soldi sporchi” arrivati dall’Ucraina via Cipro, come rivelato in una storia purtroppo senza lieto fine. L’Uefa si dissociò dal voto politico dell’Esecutivo, ma cambiare era impossibile. Problema: dove si gioca? C’è un “impegno” del governo per intervenire con un miliardo e mezzo, è stato istituito un comitato, ma i soldi arriveranno soltanto dopo un eventuale sì. Forse si poteva fare di più. Visto che Roma, Milano e Firenze devono solo essere aggiornati, e Cagliari, Firenze e Bologna sono già finanziati, ci sarebbe da lavorare su Napoli, Genova, Bari, Verona e anche Palermo, al momento fuori. Dal punto di vista turistico, dell’accoglienza e dell’impatto ambientale siamo messi meglio. Ogni città offrirebbe le tre piazze più belle del più bel Paese d’arte del mondo. Potrebbero entrare investitori privati. E l’eredità, in termini di impianti, comunicazioni, hotel, riporterebbe l’Italia al livello degli altri grandi d’Europa. Altrimenti niente rinascimento: precipiteremo nel Medio Evo. Detto a bassa voce: a Nyon non spiacerebbe una bella finale a Roma nel luglio ‘32. E a noi?