“Stop loss: così lo chiamano quelli della finanza. Stop alla perdita, nella traduzione letterale: quando ti accorgi che l’investimento che hai fatto sta prendendo una direzione sbagliata, decidi di uscire di scena minimizzando la perdita. Stop loss, due paroline che frullano nella testa di Erick Thohir, il quale ha dato a Goldman Sachs un mandato ampio: trovare partner, vendere una quota di minoranza o, eventualmente, il controllo dell’Inter. Sì, a distanza di quasi due anni e mezzo dal clamoroso addio di Moratti, il club nerazzurro è di nuovo sul mercato. Già da qualche mese l’ufficio di Hong Kong della banca d’affari ha sul tavolo il dossier dell’Inter: l’obiettivo è di rastrellare investitori in Asia, laddove circolano tanti soldi, pur in una fase di turbolenza delle Borse. PIANO A E B Quel che è certo è che l’Inter ha un disperato bisogno di quattrini. Thohir lo sa, e sa pure di non essere in grado di supportare il club a fondo perduto, com’era abituato a fare il suo predecessore nell’epoca del mecenatismo. La sua prima opzione è quella di venire affiancato da un socio di minoranza che condivida le spese di gestione e gli investimenti, attraverso un iniziale aumento di capitale che porterebbe la International Sports Capital (con Thohir e Soetedjo soci) a diluire il suo 70%. Ma chi mette soldi in un’azienda simile per non contare nulla? Nessuno. Ecco perché Thohir starebbe riflettendo sul piano B: la cessione del pacchetto di maggioranza dell’Inter. Proprio in questi giorni, negli ambienti finanziari, circola la voce di un possibile interessamento di ChemChina, il colosso cinese da 40 miliardi di fatturato azionista di maggioranza di Pirelli, lo sponsor di maglia che ha appena rinnovato con i nerazzurri. Goldman Sachs, guarda caso, è stato advisor di Pirelli nella trattativa con ChemChina. La Gazzetta ha posto una serie di domande all’Inter, che non ha risposto ufficialmente. Tuttavia, una fonte interna e a conoscenza del dossier nega che il mandato a Goldman Sachs sia a vendere e conferma le parole pronunciate qualche giorno fa da Thohir («sto cercando un partner commerciale in un’area dove ci sono 180 milioni di tifosi nerazzurri»). Posto che sia così, sarebbe strano affidarsi a una banca d’affari e non un’agenzia di sport marketing… RIFLESSIONE L’indonesiano è un uomo di mondo, ha acquisito quote nelle franchigie Usa del basket e del soccer, si destreggia mirabilmente nella finanza globale. Insomma, sa soppesare benissimo costi e benefici di un investimento. Quando nel novembre 2013 rilevò l’Inter, cioè una squadra gloriosa ma un brand poco sfruttato, si era immaginato un turnaround che non si è ancora verificato. Da un lato, non avrebbe senso vendere ora, in assenza di quella svolta societaria in grado di incrementare il valore dell’Inter. Dall’altro lato, il rischio è che se si continua di questo passo – i debiti sul groppone, gli asset in mano alle banche, l’assenza dalla Champions, lo squilibrio gestionale – il buco per le tasche di Thohir sarà ancora più ampio. A questo punto, l’investimento nerazzurro è costato al socio di maggioranza 75 milioni di aumento di capitale riservato per acquisire il 70% delle azioni e 108 milioni di prestiti fruttiferi (104 la quota capitale), al 30 giugno 2015. Con una bella differenza: i 75 milioni sono finiti in conto capitale e, quindi, già sfumati; i 108 sono un debito che, in quanto tale, l’Inter dovrebbe restituire (31 milioni con rimborso a fine esercizio, prorogabile fino al 2020; 77 milioni entro 4 anni). Proprio questi 108 milioni rappresentano un elemento-chiave nei ragionamenti di Thohir. Qualsiasi acquirente, in sede di trattativa, gli chiederebbe di stralciare il prestito elargito e di non considerarlo nell’enterprise value, cioè la valutazione aziendale, somma tra equity (il valore del capitale azionario) e debiti, che potrebbe ammontare a 300 milioni, secondo alcune stime. Prima o poi Thohir sarà costretto a convertire, in tutto o in parte, i 108 milioni in conto capitale rinunciandovi per sempre. Anche per un altro motivo, più banale: messa così com’è, l’Inter non è nelle condizioni di rimborsare il finanziamento, anzi ha un disperato bisogno di ulteriore liquidità. PREOCCUPAZIONI Sono le prospettive nel breve e medio periodo a preoccupare il tycoon di Giacarta. È vero che, in caso di disimpegno, Thohir non riuscirebbe a rientrare dall’investimento fatto, almeno finché l’Inter non avrà svoltato tornando in Champions in pianta stabile e sistemando i conti. Ma è altrettanto vero che nei prossimi mesi (e anni, fino ad avvenuto risanamento) la proprietà nerazzurra sarà chiamata a reperire ingenti fondi per assicurare la continuità aziendale dell’Inter. Già prima della fine della stagione, si renderà necessaria un’ulteriore iniezione di denaro: il club ha chiuso il mercato a saldo zero ma i ricavi incrementali attesi nel budget non si sono materializzati. Thohir, che non aveva intenzione di rimetter mano al portafogli così presto dopo l’ultima tranche dell’aprile scorso, rischia di dover intervenire, anche perché i pagamenti con i fornitori e gli agenti starebbero tardando. Questa è la cassa, poi c’è il codice civile. In vista dell’assemblea del prossimo autunno quasi sicuramente sarà chiamato un aumento di capitale per soddisfare i parametri patrimoniali: al 30 giugno 2015 il patrimonio netto di Fc Internazionale era positivo per 58,6 milioni (anche grazie a plusvalenza e dividendo della cessione del ramo d’azienda, resasi necessaria per rifinanziare il debito) ma le stime per il bilancio 2015- 16 parlano di un deficit consolidato superiore ai 50 milioni, con una conseguenza supplementare, lo sforamento della prescrizione del fair play finanziario, anche se la stessa fonte interna spiega che «l’Inter sta lavorando nella direzione giusta, in stretto dialogo con l’Uefa». Di sicuro, il mancato accesso alla Champions complicherebbe il risanamento: i mancati introiti per 50 milioni (tra premi Uefa, botteghino e sponsor) dovrebbero essere compensati da un mercato fatto di cessioni di peso. Ancora la fonte nerazzurra: «Non sarebbe un terremoto, abbiamo un piano a medio-lungo termine». L’ALTRO SOCIO Poi c’è il nodo Moratti. Finora Thohir è andato avanti con i prestiti, anche perché l’altro socio non era disponibile a partecipare agli aumenti di capitale. A novembre scade il patto parasociale triennale e Moratti potrebbe esercitare l’opzione di liberarsi del suo 29,5%. Ultimamente l’ex patron, di nuovo vicino alla squadra come dimostra la regia del ritorno a San Siro di Mourinho e Ronaldo, ha manifestato la voglia di tenersi le quote, ma Thohir non ha certezze e teme di doversi sobbarcare i costi di un’eventuale uscita morattiana. Quali costi? Circa 30 milioni. Di sicuro, entrambi sanno che la cogestione, in questi termini, non può perpetuarsi ulteriormente. Tanti indizi e un convincimento: qualcosa succederà all’Inter nel prossimo futuro. Con un avviso ai naviganti: in una fase così embrionale qualsiasi voce sulla vendita troverebbe immediata smentita da Thohir, anche perché un’eventuale trattativa richiederebbe mesi e mesi di gestazione. Alla fine, questo mosaico di informazioni conduce a due domande: 1) Al di là della volontà di Thohir, si troveranno investitori pronti a imbarcarsi in una simile avventura? 2) A quanto sarà disposto a rinunciare Thohir, rispetto all’investimento fatto, pur di evitare ulteriori esborsi e ridurre le perdite? Ecco che riecheggiano quelle due paroline: stop loss”. Questo è quanto si legge sull’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport”.