“Adesso è arrivato anche il gol. Decisivo, perché consegna al Messina 3 punti che allontanano i fantasmi. Al Ceravolo Manuel Mancini ha recitato da leader dopo le buone sensazioni lasciate nell’esordio da titolare contro il Foggia: «In quell’occasione era stato bravo il loro portiere. A Catanzaro finalmente è arrivato il momento, una liberazione». Sì, perché Mancini doveva scrollarsi di dosso una serie di scorie dell’ultima esperienza in giallorosso, quella culminata nella retrocessione ai playout. Il suo ritorno in riva allo Stretto è stato accolto con tiepidezza. Non da Marra, il tecnico che sull’ex L’Aquila ha cucito un abito tattico su misura: 4-3-1-2, con Mancini vertice alto. «È un buon allenatore, che trasmette carica positiva. Mette sempre la squadra davanti a tutto, anche a se stesso». A chi non credeva che il suo innesto potesse elevare la qualità complessiva del gruppo, Mancini risponde: «Farò parlare il campo. Chi pensa che un calciatore di 33 anni non abbia più nulla da dare, dimentica quanto in questo sport valga l’esperienza. Questo è un gruppo molto giovane, con elementi di grande qualità che hanno tutta una carriera davanti a loro. Non voglio sbilanciarmi sugli obiettivi da raggiungere. Tutti mi dicono di decelerare, ma sono un positivo di natura. Lo avevo già capito durante il riscaldamento che avremmo fatto una bella prestazione. Da squadra vera, in cui la sintonia può incidere più del semplice gesto tecnico». Mancini, atleta di Cristo, torna a Messina e trova un presidente pastore evangelico: «Non è un caso. Dio mi ha sempre risposto. Prendi quest’estate: ero reduce da una stagione in cui ho segnato 4 gol, recuperato una caterva di palloni, giocando quasi sempre da capitano. Eppure fino a qualche settimana fa ero senza squadra. Poi la chiamata del Messina. Il gol di Catanzaro”. Questo quanto si legge sull’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport”.