“Ritrovare l’Europa dove si è cominciato ad avere la netta sensazione di perderla: la sorte a volte toglie ma poi ridà, e Salvatore Sirigu domani sera passerà all’incasso. Con la serenità di chi non ha mai maledetto il destino, ma non ha neanche mai accettato di subirlo. «Mi è mancato giocare in Europa, mi è mancata molto la Champions League», ha detto a «L’Equipe» meno un mese fa, quando con garbo ha scoperchiato il bidone di delusione a cui per un anno ha fatto la guardia suo malgrado. Non sarà la partita contro l’Irlanda a ripagarlo di tanto veleno buttato giù, ma tornare titolare proprio nell’Europeo francese, e quando non era così scontato, per lui deve avere un sapore particolare. PROPRIO A LILLA Ancora di più a Lilla, stadio Pierre Mauroy: fu guardando dalla panchina il prato che calpesterà domani sera che ebbe la conferma di quanto aveva già capito. Era il 7 agosto dell’anno scorso. La prima partita della stagione Supercoppa di Francia contro il Lione a Toronto, sei giorni prima era stata l’insinuarsi del sospetto. La prima di campionato a Lilla fu la certificazione della nuova realtà: lui in panchina e Trapp titolare. «Non mi sono mai potuto giocare il posto con lui. Il problema non è stato non giocare, ma non essere neanche preso in considerazione»: ecco il conto presentato dal Paris Saint-Germain. DELUSIONE Bollettino finale della delusione: appena 12 partite, 1000 minuti e spiccioli. Una miseria, tanto più per un portiere. Zero partite di Champions, tre di campionato, quasi tutta la Coppa di Lega e tutta la Coppa di Francia, dove ha giocato l’ultima gara per 90’ con il Psg: il 21 maggio contro il Marsiglia, trofeo dell’autoproclamazione a leggenda del suo amico Zlatan Ibrahimovic, che venerdì a Tolosa si è fermato ad abbracciare solo «Siri» prima di scappare negli spogliatoi. ALLA FACCIA DEL 17 C’è panchina e panchina, e Salvatore Sirigu non ha digerito quella a Trapp perché gli è stata imposta a dispetto dei discorsi di un anno fa esatto, «e la parola di qualcuno per me è tutto». Fare l’eterno secondo di Gianluigi Buffon, uno con cui Sirigu non ha mai creduto con certezza di doversi e potersi giocare il posto, non è mai stato un peso sullo stomaco. Semmai la paziente attesa di momenti come questo: il ritaglio di rare presenze con quella di domani saranno 17, alla faccia della scaramanzia grazie all’apertura di una porta inattesa. Stavolta una febbre con annessa diffida, come alla prima del Mondiale 2014 contro l’Inghilterra fu una caviglia malconcia di Buffon; nel marzo 2015 in Bulgaria un suo attacco febbrile; un anno fa a Spalato nel secondo tempo della gara contro la Croazia un taglio profondo sul ginocchio: restano gli ultimi «veri» minuti azzurri di Sirigu, che poi ha giocato le amichevoli contro il Portogallo, la Romania e la Finlandia, il 6 giugno a Verona allo stadio Bentegodi. IN VETRINA Contro l’Irlanda per lui sarà anche una vetrina, sempre ammesso che ne abbia bisogno: in Francia alla fine hanno capito che la titolarità di Trapp è stata una forzatura anche più che un giudizio di merito. Ma il suo futuro immediato è tutto da scrivere, al netto di una certezza: «Ho ancora due anni di contratto, però mai più una stagione così». Non è una porta definitivamente sbattuta in faccia al Paris SaintGermain: «Potrei anche restare, ma solo con la garanzia di una concorrenza reale e una vera alternanza con Trapp». Piuttosto un messaggio per Unai Emery: un nuovo allenatore magari cambierà anche le sue prospettive, altrimenti non sarà un problema lasciare Parigi dopo cinque anni. Eventualmente in prestito, «se un club dimostra di volermi davvero», ha concluso il portiere. Meglio se a titolo definitivo, anche perché il Psg è in «debito» con Sirigu di un anno sbagliato e sarà disposto a favorire una soluzione semplice e non troppo costosa per uno del suo livello. E anche nel campionato italiano c’è bisogno di buoni portieri”. Questo quanto si legge sull’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport”.