Gazzetta dello Sport, ex rosa: «Palermo-Torino, snodi della mia carriera». Belotti: «Il mio mondo e Mihajlovic. Perchè il “Gallo” non alzerà mai la cresta»”

L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” ha realizzato una lunga intervista ad Andrea Belotti, l’attaccante del Torino, ex rosanero, che lunedì affronterà il suo passato. Di seguito le parole del “Gallo”:

“«Essere costato 8 milioni non è masi stato un peso. Palermo-Torino gli snodi della mia carriera. Un altro rigore da tirare? Mi candido. Shevchenko per me era una specie di santo, adesso provo a rubare qualche segreto ad Aguero. Essere cristiano per me è un motivo d’orgoglio». FATICA GLI AMICI A BALLARE E IO A LETTO IN LACRIME «Me lo disse mio padre: “Se non esci dal campo stanco morto, non hai dato tutto”. Mi piace fare fatica, che non significa solo correre: anche sentirmi dire – negli Allievi dell’AlbinoLeffe – “Resti e giochi poco o vai via?” e decidere di restare e poi giocare abbastanza. Anche avere 16 anni, vedere gli amici che vanno a ballare e andare a letto quasi piangendo: “Io no, domattina gioco”. Anche rinunciare alla A, Samp e Verona, preferendo il rischio di giocarmela in B partendo dalla panchina al rischio di finire in Primavera. Mi aiutò a scegliere il mio procuratore, Sergio Lancini, e ancora lo ringrazio: non tutti i procuratori, oggi, danno questo consiglio».

LIRE IERI E OGGI, IL DENARO HA LO STESSO VALORE «… E a 400 mila euro di ingaggio rinunciai io: il Palermo non poteva spendere troppo per uno di Lega Pro. Stavo scommettendo su me stesso e dando al denaro il valore che per me ha sempre avuto: prima il mio bene, poi i soldi. Ma per qualcosa di buono i soldi si usano: i miei spendevano 700 euro di retta per farmi giocare con l’AlbinoLeffe. Non mi sento tirchio né spendaccione, ma risparmio perché un giorno avrò una famiglia da mantenere. Non tutti i calciatori ragionano così? Non so, ma so che ci tengo a farmi conoscere più come persona che come calciatore. E che si voglia bene alla persona, non al calciatore».

SAVOLDI QUANDO MI DICEVANO «TU COME BEPPE? MAI» «È di Gorlago eppure Savoldi non l’ho mai conosciuto di persona, ma è stato come se: al paese mi tiravano frecciatine, “Non sarai mai come Beppe”, e io pensavo: “E invece sì”. Da malato di calcio sono andato a rivedermi i gol suoi e di tutti quelli a cui mi hanno paragonato: Boninsegna, Vialli, ma forse quello a cui mi avvicino di più è Graziani. E non lo dico perché gioco nel Toro».

PISELLI UN FRATELLO CUOCO E L’IDEA RISTORANTE «Non l’unico: anche i fagioli. La regola di papà era “ti alzi da tavola a piatto vuoto”, ma ogni lunedì era guerra con il minestrone della nonna. Un giorno mollò: “Non ti posso vedere soffrire così”, e piselli e fagioli finivano nel suo piatto. I casoncelli alla bergamasca mai, battono anche le lasagne al pesce di mio fratello Manuel, che fa il cuoco. Magari apriamo un ristorante io e lui».

SO EASY È DURA VIVERE CON ME PASSO E LASCIO CASINO «Nuova filosofia di vita è troppo: era solo un intercalare quando parlavo con Luca, il mio migliore amico di Gorlago. Di sicuro Giorgia non pensa che sia facile vivere con uno così disordinato: “Tanto sistemo dopo”, e dove passo lascio casino. Il mio vero motto non è mio, ma di Michael Jordan: “I limiti come le paure spesso sono illusioni”. Ce l’ho tatuato».

BUFFON IL PORTIERE, UN NEMICO A CUI DIRE «BRAVO» «No, Gigi non mi cazziò: ci abbiamo scherzato dopo, in Nazionale. Però di quel giorno ricordo tutto: il fallo da rigore su Peres, il rigorista Immobile già uscito, Maxi Lopez che mi fa “Te la senti?”. Me la sentivo sì: non ho pensato né che avevo di fronte Buffon, né che potevo spezzargli il record. Gigi era un portiere come un altro: un “nemico”, in quanto principale ostacolo fra me e il gol, che quando gioco è la mia vita. Ma un nemico merita anche complimenti, come Szczesny tre settimane fa: spero che un giorno un portiere farà altrettanto con me, vorrà dire che ho fatto un gran gol. E soprattutto che in campo può esistere anche il rispetto».

TORTA IO CAPITANO, MAGARI MA QUI LO SIAMO TUTTI «Più che ciliegina sei… No, questa non la capisco». Il suo presidente Cairo disse che Belotti non era solo la ciliegina sulla torta ma la torta, perché la pagò 8 milioni: un peso? «No, ora non sono più l’acquisto più caro: è arrivato Ljajic… Scherzi a parte, al Toro mi hanno sempre fatto lavorare sereno, pure quando non segnavo. Anche Cairo mi diceva: “Tranquillo, arriverà tutto”». Un giorno arriverà anche la fascia da capitano? «Con la Fiorentina l’ho già messa ed è stata un’emozione, ma da noi si va per gerarchia e avremmo la personalità per farlo tutti. Ha detto bene Bovo: in questo Toro siamo tutti capitani».

CALCI DI RIGORE MA IO IN REALTÀ LI HO SEMPRE SEGNATI «Va così: si ricordano solo gli ultimi. Io i rigori li ho sempre segnati, ne ho sbagliato uno a Palermo e due quest’anno, ma so perché: a San Siro ho rallentato male la rincorsa e poi non ho guardato Donnarumma, con il Bologna mi sono fatto condizionare da quell’errore. Però che ho chiuso con i rigori a me Mihajlovic non l’ha mai detto: in allenamento li provo. Se preferirà lasciarmi tranquillo rispetterò la sua scelta, altrimenti mi candido: sono pronto e ho di nuovo la testa libera. Anzi, potevo già tirarlo contro la Roma ma avevo sentito un mezzo crampo al polpaccio. E poi contro la sua ex squadra era giusto lasciarlo a Iago Falque».

FERRO DA STIRO «MAMMA, MAI PIÙ QUELLE OCCHIAIE» «Tolto dalle mani… Detto così non mi piace, sembro quello che ha fatto i soldi e fa smettere i genitori di lavorare. È che mia mamma, stiratrice in un’azienda di camicie, ripeteva: “Non riesco a venire a Palermo, devo lavorare”. Ci pensavo da un po’ ma temevo di offenderla, ho detto basta il giorno che l’ho vista con due occhiaie che le riempivano tutta la faccia: “Mamma, da domani solo casa e famiglia”. Papà non lo convincerò mai: quando faceva il muratore a Milano partiva alle 7, tornava alle 7 con le ginocchia rotte ma si metteva a giocare. Ora che ha 4 settimane di ferie, ne usa una per riposare: le altre tre si inventa qualcosa da fare».

CRESTA SOLO PER ESULTANZA SONO PIÙ IO CON LA RIGA «La prima volta che ho esultato con la cresta perché l’avevo promesso al mio amico Yuri Gallo mi ha telefonato la zia, che ha un’azienda agricola: “Ma tu lo sai che da bambino venivi qui con papà a raccogliere le uova e non facevi altro che inseguire galli e galline?”. È che per me gli animali sono come esseri umani, mi emozionano quanto loro. Angi, il black russel che abbiamo io e Giorgia, è come un figlio: mi sembra che parli anche se non ha la voce. Credo che non smetterò mai di fare la cresta dopo un gol, ma non tengo più i capelli così perché mi sembrava una pettinatura quasi eccessiva: quella di oggi, con la riga così precisa, rispecchia più il mio modo di essere. Me l’hanno detto in tanti: “Eh, ora sei così, ma prima o poi la alzerai ‘sta cresta”. E invece no, non la alzerò mai: una vita fondata sulla presunzione del tuo “status” genera solo rapporti falsi. Io voglio che si veda ancora l’Andrea di Gorlago, e a Gorlago lo sanno: la persona che sono, perché io sono ancora quello lì».

SHEVCHENKO POTEVA ESSERCI DIEGO MA IO VEDEVO SOLO LUI «Il primo modello… Facile: Sheva. Stregato da una partita a San Siro con Manuel, per me era una specie di santo: poteva esserci in campo Maradona, io vedevo solo Shevchenko. Di lui avrei voluto tutto, di tutti gli altri attaccanti che ho “studiato” una qualità a testa: la freddezza sotto porta di Mario Gomez, la facilità di smarcarsi di Torres, lo strapotere fisico di Drogba. Oggi provo a rubare qualche segreto ad Aguero: movimenti, senso della posizione, come sente la porta e arriva sulla palla prima degli altri. Fa gol sempre e in tutti i modi ed è pure un leader, di quelli che piacciono a me. Lo sentite parlare spesso? Quasi mai: però parla in campo».

VENTURA «SE VUOI, PUOI»: ME L’HA RIDETTO A COVERCIANO Due orizzontali, chi è? «Ventura. Speriamo l’allenatore anche di domani…». Si sente già scappare la Nazionale? «No, no, anche perché a Coverciano mi ha ripetuto la frase di quando ci siamo conosciuti al Toro: “Se vuoi, puoi”. Non è facile chiarire cosa mi ha insegnato, ma ci provo: mi ha fatto “stare in campo”, spiegandomi quanti modi di vedere una partita ci sono e quante scelte posso fare di volta in volta. Mi piacciono gli allenatori che spronano, come è anche Mihajlovic: lo ascolto parlare prima di una partita e sento che mi sale da dentro qualcosa. Mi va bene pure quando mi massacra: anche massacrare è caricare, io non mi offendo».

NONNA MARIA CHE BELLO ERA DORMIRE NEL LETTONE CON LEI «Mi dava pane e salame per premiare i miei gol, ora viene allo stadio a vedermi: salire in tribuna ad abbracciarla come Florenzi è dura, ma quel giorno mi sono detto “Bravo Ale, io sì che ti capisco”. È tutto in una frase della nonna: “Vivo più per i nipoti che per i figli”. E io sono il nipote preferito, forse per via del nome Andrea. Quando morì suo marito Andreino la mamma era già incinta ma non glielo dissero subito, l’annuncio fu un modo per tirarla su: “Lo chiameremo come il nonno”. Stavo più notti da lei che con i miei per non farla sentire sola, e oggi la scongiuro: “Di questa casa regala tutto, non il lettone dove dormivamo io e te”».

ORATORIO UNA CROCE SUL COLLO TATTOO CHE DICE TUTTO «Uno verticali: bella definizione, mi piace. Ancora non me ne rendevo conto, ma già quando servivo la messa sapevo che calcio e fede potevano essere strade parallele: la domenica, dopo un’ora di catechismo e la benedizione del prete, i chierichetti avevano il vantaggio di poter uscire per primi, io non mi ero ancora tolto la tunica e avevo già il pallone in mano per bloccare il campo. Guardi i miei tatuaggi: sul polpaccio un gallo – il calcio – ma sul collo una croce. Essere cristiano è un motivo d’orgoglio, per me in ritiro la messa facoltativa non è facoltativa: decido io di andarci. E lassù c’è qualcuno che decide tutto».

GIORGIA IO E LEI, PALERMO E L’8 SÌ CON L’ANELLO AL NASO «Sì, futura moglie: l’8 giugno 2017. Gliel’ho chiesto in ginocchio, mi ero inventato un allenamento per andare a Milano a ritirare l’anello che poi ho messo sul naso di Angi, il nostro cane: era così emozionata che non mi ha neanche risposto sì. Ci sposiamo a Palermo perché è la sua città e abbiamo scelto l’8 perché era il suo numero e adesso è il nostro: ci siamo conosciuti l’8 ottobre, fidanzati il 28 dicembre, prima vera cena romantica l’8 gennaio. Lei mi ha chiesto “Prendilo anche come numero di maglia”, ma il 9 è troppo mio per cambiarlo…». E allora se Giorgia le chiedesse di cambiare di nuovo vita e ricominciare a fare tv? «Ha 23 anni e ci sta che abbia voglia di tornare a lavorare, anche perché per stare con me rinunciò a inseguire il sogno di una carriera alla Ilaria D’Amico, che era il suo modello. Una bella responsabilità, ma io sono felice che abbia smesso: così ha più tempo per me».

ATALANTA LA PRIMA DELUSIONE MA L’EUROPEO UNDER 21… Sei verticali, Atalanta: definizione? «La squadra di dove sono nato». No, la prima delusione sportiva. «Ah, sì: mica l’unica. E l’Europeo under 21 2015? Non per il “biscotto” Svezia-Portogallo – tutto previsto – ma perché eravamo un gruppo fantastico e straconvinto di vincere. Comunque l’Atalanta non mi scartò: non mi prese. È diverso: nel primo caso ti dicono “Non vai bene”, nel secondo preferiscono un altro e loro presero Cisse Tondoro, un ‘93 che era già grande e grosso. Delusioni extra calcio? Spero mai, per ora no: né da amici, né da fidanzate. La mia vita è stata proprio bella, ma so che succederà di dover combattere. E sono preparato»”.