“Negli ultimi tempi, forse la Nazionale italiana ha sviluppato una vocazione proustiana. Comprensibile. È dal fallimento dell’ultimo Mondiale — se non da prima — che l’Italia ruota attorno a una specie di «ricerca del tempo perduto» che ci consenta di ritornare a quei vertici a cui ci sentiamo di appartenere. Ebbene, nei giorni in cui scopriamo Andrea Belotti, fa riflettere come tutte le grandi epoche del calcio azzurro siano legate a centravanti che hanno lasciato il segno. Senza scomodare il pallone d’anteguerra, l’Italia magica di Anastasi e Boninsegna, così come quella di Rossi e Toni (senza dimenticare le avventure di Vialli, Schillaci o Vieri) ha sempre esposto al mondo un supereroe del gol da vetrina. Ecco, se si eccettua la breve estate di Balotelli, è dai tempi di Toni che il casting per il centravanti azzurro vede lievitare e sfiorire candidature. MITI Certo, questi non sono più tempi di mitologia azzurra, e quindi faremmo un torto agli attaccanti di Ventura se andassimo alla ricerca di equivalenze premature. Vedere però un ragazzo di 22 anni che in 4 partite con la Nazionale — di cui 3 con i tre punti in palio — ha segnato 3 gol, fa aprire il cuore alla speranza. Per intenderci, dal 2000 in poi, in match non amichevoli non era più successo a nessuno. Da Inzaghi a Pellè, passando per Vieri, Toni, Di Natale e Balotelli. Inoltre, per confortare l’idea che forse la Nazionale in Belotti ha trovato il nuovo centravanti di riferimento, ci sono anche le 8 reti siglate in campionato. Insomma, se si pensa che nel 2016 finora ha messo in porta 22 gol (di cui 19 in Serie A), è tempo che il barometro azzurro torni a virare verso l’ottimismo. VINCERE IN SPAGNA «Numeri alla mano non c’è male, ma non voglio fermarmi. Ogni volta che mi viene data l’opportunità devo cercare di fare più gol possibili. Nonostante la doppietta, anche col Liechtenstein volevo fare ancora più reti. Ho cercato la tripletta in tutti i modi ma non ce l’ho fatta, anche per demerito mio. Adesso non possiamo pensare più tanto alla differenza reti; occorre fare più punti possibile. Quindi il nostro obiettivo è chiaro: andare a vincere anche in Spagna». Una frase che ormai pare sottolineare la consapevolezza del suo ruolo: un Gallo che canta. D’altronde forza, velocità, precisione, abilità in acrobazia, spirito di sacrificio e intelligenza tattica lo fanno razzolare nell’aia dei possibili campioni, con una accelerata incredibile se si pensa al punto in cui si trovava solo un anno fa. «In poco tempo è cambiato tutto. Arrivato al Torino non mi aspettavo tante difficoltà e così non trovavo il gol. Poi, proprio a novembre, è arrivata la partita col Bologna, mi sono sbloccato ed è partito tutto da lì. Il merito però va anche all’ambiente granata perché, anche se non segnavo, non mi mettevano pressione, finché poi i risultati non sono arrivati. Del 2016 mi dispiace solo per l’Under 21. Il rammarico ce lo portiamo dentro tutti perché eravamo consapevoli di essere un grande gruppo, che poteva vincere. In ogni caso devo dire grazie a Ventura, che mi ha dato tanto, e naturalmente a Mihajlovic, che mi dice dove devo migliorare. È merito loro se sono arrivato a questo punto». Ciò che conta, ora, è non tradire nessuno con atteggiamenti sbagliati fuori dal campo. Quelli, per intenderci, che hanno tolto l’azzurro a Balotelli e Pellè. «So che la maglia del centravanti è importante, ma il numero 9 non deve essere un peso. Anzi, sono fortunato di fare coppia con Immobile. Io e Ciro siamo giovani e stiamo facendo un grande campionato. E poi abbiamo già giocato insieme, e questo è un punto a nostro vantaggio». DA SHEVA AD AGUERO Piccolo passo indietro. Il Gallo («da piccolo inseguivo i galli nel pollaio di mia zia e il mio amico Juri Gallo mi ha detto di mimare la cresta») ha questa idea del suo ruolo: «Il portiere è un nemico che può rovinare il rapporto col gol». Con queste premesse, non sorprendono i riferimenti che Andrea si è scelto. «Il mio mito è sempre stato Shevchenko, ma ultimamente sto cercando di capire soprattutto Aguero, uno che trova sempre la porta». Ce ne sarebbe bisogno anche domani contro la Germania. «Sarà dura perché è una delle squadre più forti del mondo. Dovremo prepararci al meglio». Storicamente ci riesce, tant’è che all’Europeo inciampammo solo sui rigori. «Ricordo tutto. Ero a una festa per l’anniversario dei genitori della mia ragazza, ma la partita l’ho vista e alla fine mi è dispiaciuto tanto per l’eliminazione. D’altronde, prima di essere un calciatore, io per prima cosa sono un tifoso della Nazionale». Ottima considerazione. Allora Belotti sa già come — da Boninsegna a Rossi fino a Balotelli — tutti i centravanti azzurri che hanno scritto la storia recente, siano passati attraverso un’ItaliaGermania da ricordare. Stavolta è il suo momento. È ora che canti il Gallo.”. Questo quanto si legge sull’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport”.