“Quale famiglia africana o sudamericana o asiatica si opporrebbe a un’offerta da 10 mila euro, con la promessa magari di far diventare suo figlio una star in Europa? Per i «trafficanti di minori» agire alla luce del sole è facilissimo. Negli sperduti villaggi dell’Africa nera o nelle «villas miserias» del Sud America non serve neanche un patentino da agente o una sede: si fa tutto via computer, o telefonino. Si promette un provino ed è fatta. E poi poco importa se il minore non sfonda e viene abbandonato in Europa a fare il clochard. Migliaia di ragazzini arrivano da noi speranzosi di un contratto fra i pro e poi restano senza soldi, a dormire sotto i ponti. Abbandonati, senza documenti validi, sotto minaccia di essere espulsi appena perdono anche il contratto fra i dilettanti. E per paura o vergogna non vogliono nemmeno tornare nel loro Paese d’origine, dopo essere stati scartati come giocatori. SOLIDALE C’è chi come Jean Claude Mbvoumin, ex Under 20 del Camerun e poi in Francia con Beauvais e Dunquerke, ha cercato di contrastare questo traffico e salvare questi ragazzi. Dal 2000 con la sua associazione Culture Foot Solidaire cerca di «inserire questi minori non più calciatori e ridargli una vita». Mbvoumin negli anni ne ha salvati già a migliaia. Ma il traffico di minori ad opera di pseudo agenti non cessa di mietere vittime. Lo stesso Mbvoumin ha ribadito la situazione lo scorso ottobre in un’intervista alla Reuters. E lo scrittore cileno Juan Pablo Meneses ha da poco pubblicato anche in Italia un libro, Niños Futbolistas, viaggio per l’America Latina dove il fenomeno coloniale della tratta è all’ordine del giorno. IL PADRE LAVORA Il caso ora dei due club di Madrid, come prima quello del Barça, non è lo stesso. Ma solo perché alla Masia o alla Fabrica madridista i ragazzi, dicono i club, «vengono trattati bene». Ciò però, per la Fifa, non esclude che i club spagnoli abbiano comunque violato le regole sui transfer di minori, entrate in vigore nell’ottobre 2009. Tali norme (art. 19) sin da allora prevedono 3 casi in base ai quali i minori di 18 anni possono cambiare Paese: 1) i genitori del minore si trasferiscono in una nuova nazione per motivi indipendenti dal calcio; 2) il passaggio avviene all’interno della Ue (ma solo per i maggiori di 16 anni); 3) il minore vive a non più di 50 km dalla frontiera dello Stato nel quale vuole essere tesserato e il club acquirente pure si trova a 50 km dal confine. La prima eccezione (il trasferimento dei parenti) è stata spesso l’abusato escamotage per poter tesserare gli Under 18 stranieri. Cioè, come nel caso di un novello 13enne Messi (ma ai suoi tempi non c’erano regole): si trovava un lavoro al padre, pure nello stesso club, e poi si poteva tesserare lo straniero. IL CASO KAKUTA Questo sistema è durato a lungo, fino al recente caso del Barça dei coreani e africani. Fra i precedenti quello di Gael Kakuta, Under 16 francese del Lens, portato al Chelsea nel 2007: il club di Abramovich subì il blocco del mercato nel 2011 ma poi si salvò perché il Tas sentenziò che il contratto fra Kakuta e il Lens non era valido e quindi il Chelsea poteva tesserare la stellina. Altro sotterfugio usato in Spagna come in tutta l’Europa che conta, esclusa l’Inghilterra (che coi permessi di lavoro è molto più inflessibile), è stato quello di far tesserare l’under extracomunitario da un club piccolo di un posto limitrofo, della provincia o della città stessa. E trasferirlo dopo del tempo, in modo che in caso di denuncia alla Fifa si possa dar la colpa del primo tesseramento al club minore. PIÙ DECISI Ma come ha scritto la stessa Fifa ieri sul suo sito, annunciando la punizione per i club di Madrid, si è deciso che «le disposizioni in materia di tutela dei minori devono essere rigorosamente applicate». E quel «rigorosamente» spiega, forse, perché la Fifa si sia decisa ad agire finalmente e pesantemente dopo 5 anni dall’approvazione delle norme. Ma poi perché sono stati finora puniti solo i Big Three di Liga? In Spagna si dice per gelosie interne e denunce conseguenti. Forse pure perché si è esagerato con l’escamotage del padre. Ma fossimo in un club francese, belga o italiano non saremmo tranquilli”. Questo quanto scrive l’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport”