Gazzetta dello Sport: “Dybala-Higuain: Alle radici dei bomber. Quando l’Instituto fu costretto a vendere il gioiello ai rosa…”

“La storia di Paulo Dybala nel calcio non inizia con una firma simbolica su un tovagliolo, come Messi al Barcellona. Ma come Rexach con la Pulce, l’allenatore Santos Turza al provino ci mise davvero poco per capire il talento del giovane Paulo. Aveva 10 anni ed era arrivato a La Agustina, il campo sportivo dell’Instituto con suo papà, Adolfo. «Mi avevano già detto che c’era un mancino interessante, chiesi di vederlo. E non ebbi dubbi – ricorda lo scopritore – Dopo 10 minuti di esibizione, chiesi al padre di lasciarlo direttamente con noi, poi chiamai un dirigente per sistemare il trasferimento dal club del suo quartiere». Quel club era il Newell’s, non quello di Messi, ma un piccolissimo Newell’s di Laguna Larga, il suo paese. Altra storia, altre radici: Gonzalo Higuain è nato in Francia, lontano dal suo Paese. Il padre, Jorge, detto el Pipa, era difensore centrale del Brest, ma quando arrivò l’offerta del River Plate gli Higuain tornarono in Argentina. Che Gonzalo sia un predestinato lo si capisce quando ha 10 mesi: papà Jorge segna di testa nel superclassico contro il Boca, ma è il piccolo di casa a giocare la partita della vita a causa di una meningite. «Non aveva riflessi, la febbre non andava giù. Siamo andati di corsa in ambulanza all’ospedale pediatrico, dove lo salvarono dopo 3 settimane di terapia intensiva. Una volta dimesso i medici erano cauti: temevano avesse subito danni PICCOLI CAMPIONI A sinistra un giovanissimo Dybala. A destra Higuain con la maglia del River I PRIMI GOL A sinistra Dybala dopo un gol firmato con l’Instituto. A destra l’urlo del Pipita a segno col River gravi. Non avevano certezze sul fatto che potesse camminare, guardare o avere la giusta coordinazione. Beh, ora credo di poter dire che sia guarito abbastanza bene», racconta il Pipa. Padre e figlio hanno stili opposti. «Mi sembra che l’amore per il calcio l’abbia preso da me, ma il talento e i geni artistici sono della mamma. Lei dipinge, arreda, fa tutto», assicura Jorge. ARGENTINA UNICO AMORE Il polacco Boleslaw, nonno di Dybala, lasciò Krasniow nel dopoguerra e andò in Argentina senza niente. Dormiva nei campi di mais. Lo trovarono disidratato, sul filo della morte. Così inizia la storia dei Dybala in Argentina. «Non posso credere che mio nipote sia un calciatore di fama mondiale», dice la zia polacca, Henryka, nel documentario del regista Mateusz Swiecicki. E’ per questo motivo che Dybala sarebbe stato convocabile dalla Polonia. «Ma il mio sogno è giocare con l’Argentina, il mio Paese», rispondeva Paulo benché sapesse le difficoltà per essere convocato in una rosa che ha a disposizione Messi, Aguero, Higuain, Tevez e tanti altri. Per il Pipita, invece, la convocazione di Raymond Domenech arriva senza nemmeno aver parlato con lui. «Scusi, ma io non voglio giocare con la Francia, ho vissuto sempre in Argentina, non parlo il francese, e il calcio che sento è quello là», chiuse le porte Higuain, a cui non piacciono i confronti con Trezeguet. «Lui giocava e viveva in Francia, ma io sto qui». Suona strano, ma allora mancava qualche passo burocratico per diventare argentino. E con i nomi che erano a disposizione nel 2006, la Selección sembrava non aver fretta con un 18enne che muoveva i primi passi nel calcio. GLI ESORDI Paulo ha iniziato a soli 4 anni col club Sportivo, la squadra del padre negli anni 80 e la stessa dove lui impara a giocare a scacchi. «Il problema delle vecchie foto è uno: le magliette con le maniche corte erano per bambini più grandi, a Paulo gli stavano come se fossero quelle lunghe. Sembrava un prete. Ma i gol li ha fatti sempre», ricorda mamma Alicia. «Mio padre sognava di vedere uno dei 3 figli giocare in Primera. Non riuscì con Gustavo, non ebbe fortuna con Mariano, che è ci è andato vicino, e penso che per la sua perseveranza, non per la mia, alla fine è toccato a me far diventare realtà quel sogno», racconta Paulo. Pure in casa Higuain ci sono un padre e 3 fratelli matti per il calcio. Ma il papà li porta al Club Palermo, vicino a casa sua, nel quartiere di Saavedra, per non fargli sentire pressioni. «Non volevo che dicessero che loro giocavano perché erano “i figli di”, ma José Curti, incaricato del vivaio del River, mi pressava per fargli fare un provino. Finalmente ho accettato, chiedendo però di trattarli come tutti gli altri, senza privilegi», ricorda il Pipa. Anche senza aiuti si vive a casa Higuain: le partitelle nel giardino diventano un incubo per mamma Nancy. Dopo l’ennesima finestra rotta, lei si stanca: «O il calcio o il matrimonio», fa scegliere a Jorge. «Una settimana dopo, avevamo già la piscina nel giardino», ride Jorge. E non avendo spazio per perfezionare la tecnica, decidono di passarsi il pallone da un bordo all’altro della piscina, ovviamente senza far cadere la palla in acqua per non sentire gli strilli materni. LA SCALATA Palo, lo chiamavano a Dybala nelle giovanili dell’Instituto. Ma non era una roba di chili: il peso specifico di Dybala si vedeva in campo, dove lo confrontavano con Kempes, Messi e Maradona. «Che dire… molto bello, ma mi sembra un po’ troppo», rispondeva lui. Quando nel 2012 il mensile El Gráfico gli offrì la copertina e un servizio simile a quello fatto con Messi nel 2003, lui disse di no. «E’ ancora presto», rispose. A Dybala non interessava farsi notare, benché giocasse ancora in B e non avesse un futuro garantito. Anche il Pipita, che veniva paragonato a Francescoli, Crespo e Batistuta, diventa subito un numero uno su come evitare la stampa. «Sono fatto così, faccio fatica a parlare. Non è che mi piace che pensino che me la tiro perché sono nella Primera del River, ma davvero preferisco il basso profilo», rivela al giornale Futbol Spirit nel 2006. Il percorso del Pipita è molto veloce: dall’esordio al posto da titolare, in una squadra piena di giovani. Lui va a scuola nel River e diventa subito una delle stelline da inseguire. Ma il piano di ricostruzione del club non funziona, i soldi spariscono, e i Millonarios finiscono per la prima volta in B. Lì troveranno una squadra tosta che li farà soffrire: l’Instituto di Dybala. Il tumore, quando lui aveva 15 anni, gli aveva portato via il padre e lui aveva traslocato al pensionato dell’Instituto. La sua storia è sempre legata alla precocità, a bruciare tappe che per altri sarebbero state anni di lavoro. Con quella capacità di dribblare il tempo, Paulo fu promosso in prima squadra per il ritiro stagionale grazie a Dario Franco, allenatore della scuola di Bielsa. Ma sebbene il piano fosse portarlo in alto piano piano, il 17enne iniziò la sua carriera a tutto gas e non c’è stato modo di frenarlo: in meno di 15 partite era già il simbolo della squadra che fu la rivelazione nella B Nacional. E Dybala, che tifa il Boca, diventò un incubo per i Millonarios. Allora era già La Joya, il gioiello. Dybala era fanatico della PlayStation, alla guida del Barcellona. «La palla ce l’aveva sempre Leo…», spiegava. La sua squadra nel mondo reale si vantava di avere lo stile del Barça. E Dybala era il falso nueve, come Messi con Guardiola. «Gioco avanti, ma non sono un 9 classico, mi piace iniziare da dietro», diceva. La storia con l’Instituto però non finì del tutto bene. La squadra, in calo nelle ultime giornate di un campionato che aveva dominato con facilità, non riesce a essere promossa. Il pullman dell’Instituto fu aggredito dagli ultrà e il fratello di Dybala, Mariano, e il suo procuratore, Omar Peirone, ricevono minacce di notte per garantirne la vendita, che avrebbe lasciato soldi per tutti. MESSI NEL DESTINO Il ruolo del Pipita davanti alla PlayStation è indiscusso, ma in campo non è facile da spiegare in quei primi anni col River. C’era chi lo vedeva come seconda punta, chi come centravanti, ma pure come 10. L’allora regista Marcelo Gallardo (oggi allenatore), lo descriveva come il giovane che più gli assomigliava. Non essendo con chiarezza né un 10 né un 9, finalmente è Passarella a schierarlo come centravanti, come aveva fatto con Crespo nel 1994. E il Pipita esplode, soprattutto con una doppietta in Brasile col Corinthians e un gol di tacco nel superclassico contro il Boca. Anche la cessione del Pipita è problematica, però. Un gruppo d’investitori acquista il 50% del cartellino prima che lui lasci il River e poi tratta direttamente con il Real Madrid. Dybala non avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe stato Messi a dire al Tata Martino: «Chiamalo, questo è uno di noi». Uno di noi speciale, intendeva la Pulce. E così Dybala approdò nella Selecciòn, essendo già un fenomeno in Italia. Quando inizia nel vivaio del River, il Pipita si allena a Ciudad Universitaria, di fronte al Monumental. Lì, un giorno, arriva un ragazzino portato da Rosario. Si allena con la sua squadra, giocano la stessa partita. Quel ragazzino aveva problemi di crescita e doveva fare un trattamento abbastanza costoso. Il River, che aveva troppi giocatori a disposizione, lo lascia andare. Quel ragazzino si chiamava Lionel Messi. Nel 2018 sarà per la seconda volta il socio d’attacco del Pipita in un mondiale con la maglietta albiceleste. E forse ci sarà anche Dybala…”. Questo quanto si legge sull’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport”.