“La sterlina crolla, la Scozia vuole staccarsi dalla Gran Bretagna e anche il calcio non se la passa troppo bene. Una frase storica di Woody Allen è perfetta per descrivere l’effetto-Brexit: il football e gli altri sport di riferimento del Regno Unito – rugby, cricket e tennis – rischiano di essere travolti dal successo del Leave, lo schieramento che ha voltato le spalle all’Europa, proprio negli stessi giorni in cui l’Europeo, quello che simboleggia l’unione dei popoli del continente, sta entrando nel vivo col record di quattro britanniche agli ottavi. Tanto per restare in tema, nulla cambierà nei rapporti con l’Uefa e quindi nella partecipazione alle manifestazioni per club o per nazioni: l’Uefa guarda all’Europa come entità geografica e non politica. Ma sul resto le conseguenze potranno essere devastanti. LIBERA CIRCOLAZIONE La prima questione sul tavolo riguarda i permessi di lavoro. Al termine di una lunga fase di negoziato che durerà almeno due anni, cesserà la libera circolazione dei calciatori di ben 27 Paesi e questo significa che, se non saranno create eccezioni riguardanti categorie professionali particolari o se il governo britannico non adotterà accordi «antibarriere» come Norvegia o Svizzera, per giocare nei campionati britannici sarà necessario il permesso di lavoro. Qualora dovesse essere adottato il modello usato finora per regolamentare l’ingresso degli extracomunitari, vale a dire un pass legato a una percentuale di partite disputate con la propria nazionale, tra Premier, Premiership scozzese, Championship e Scottish Championship potrebbero saltare oltre 400 calciatori. Con l’applicazione rigida di questa regola, il Manchester United non avrebbe potuto acquistare un anno fa Anthony Martial, il Leicester non avrebbe scovato un tesoro in N’Golo Kanté e il West Ham non avrebbe potuto godersi un campione come Dimitri Payet. In teoria si registrerebbe anche l’effetto contrario (i calciatori britannici retrocessi a extracomunitari) ma il Regno Unito esporta pochi talenti: il caso lampante è quello di Bale al Real. VIVAI Il secondo problema si apre con i settori giovanili. Ci sono club, Chelsea e Manchester City su tutti, la cui crescita nelle ultime stagioni è stata sostenuta dall’arruolamento di giovanissimi talenti o presunti tali stranieri attraverso una fitta rete di scouting. Con l’addio all’Europa, in Gran Bretagna non sarà però più applicabile l’articolo 19 della Fifa che consente nei Paesi comunitari di abbassare da 18 ai 16 anni il tetto dei tesseramenti. L’Arsenal e il Manchester United, che per anni hanno spolpato i vivai di altri paesi, Italia compresa, dovranno rinunciare a questa politica predatoria. MERCATO La ripercussione più immediata si avrà però nel mercato estivo, dove già diverse trattative con i club britannici sono state congelate. Il primo problema riguarda la sterlina. Ieri le oscillazioni sono state spaventose, con una leggera ripresa a fine giornata, ma la sensazione è che il periodo aureo della moneta inglese, che appena dodici mesi fa aveva raggiunto il massimo della quotazione – 1 pound costava 1,45 euro , sia destinato a tramontare. Bisognerà vedere quanto durerà la caduta: c’è chi ipotizza, nel mediolungo periodo, il pareggio con l’euro. Un affare in corso tra West Ham e Marsiglia rende bene l’idea. Il prezzo di Michy Batshuay, attaccante belga del Marsiglia, fissato inizialmente in 31 milioni di sterline, nel giro di poche ore è salito a quota 34. SOLDI Un portavoce della Premier League si è affrettato a dichiarare: «La Brexit non danneggerà il prestigio del campionato». Ma da ieri, i club inglesi si sentono un po’ più poveri. O meglio, un po’ meno ricchi visto che il fatturato della Premier (4,4 miliardi di euro pre-Brexit) si colloca su un altro pianeta rispetto alle altre leghe europee (Bundesliga 2,4; Liga 2,1; Serie A 1,8). La speranza degli «umani», a questo punto, è che il divario con le inglesi si assottigli un po’. L’effetto della moneta è diretto: sul mercato internazionale le società d’Oltremanica avranno meno potere d’acquisto nelle trattative di compravendita che avvengono in euro o dollari e anche per gli ingaggi dei giocatori saranno costrette a spendere di più per soddisfare le richieste degli stranieri che ragionano con valute diverse dalla sterlina. Tutto questo avrà pure un impatto nei bilanci delle squadre, in termini di svalutazioni e quindi di costi aggiuntivi. Ci sono poi effetti indiretti della Brexit, tutti da misurare ancora, sulla Premier e in generale sullo scenario competitivo del calcio globale. Se la piazza finanziaria di Londra perderà la sua centralità gli investitori stranieri, che oggi sono soci di oltre la metà dei club di massima divisione, potranno rivolgere le loro antenne altrove. È vero che, di converso al ragionamento che facevamo prima sulla sterlina, le valutazioni dei club inglesi scenderanno e potranno essere più appetibili ma bisogna vedere cosa succederà alla City. Pensate soltanto alla minaccia di togliere le licenze europee alle banche: ci sarebbe un esodo di caveau da Londra. Va poi tenuta in considerazione l’incognita delle politiche fiscali. Le tasse inglesi non sono leggere, ma il sistema è snello e ha contribuito a rendere più appetibile il trasferimento Oltremanica. La nuova Gran Bretagna, quella della Brexit, avrà lo stesso fisco e la stessa agilità? Con una postilla: non è escluso che il nuovo governo muova la leva fiscale a favore degli stranieri (quindi anche dei calciatori) abbassando le aliquote nel tentativo di ridurre la fuga all’estero“. Questo quanto riportato dall’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport”.