L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” si sofferma sulla Juve Stabia che si prepara ad affrontare il Palermo.
Sulla scrivania dell’ufficio di Guido Pagliuca, da qualche giorno c’è un libro con la copertina scura, raffigurante un cervello e un campo da calcio: «Parla di psicologia, competenze ed esperienze specifiche per la costruzione della squadra. Analizza anche la complessità delle scelte nel mio lavoro». L’allenatore di Cecina guida la neopromossa Juve Stabia che, dopo 4 partite, è in testa alla classifica con 8 punti insieme a Pisa e Spezia: «Siamo un gruppo giovane e ambizioso, questo è soltanto l’inizio del viaggio. Dovremo superare tante insidie. E finalmente sabato, contro il Palermo, torniamo a giocare davanti alla nostra gente».
Quanto conterà l’affetto del Menti?
«Sentivamo la necessità di ritrovare i nostri tifosi. C’è un legame forte con la squadra, noi lottiamo per loro in ogni partita».
Lei è arrivato a Castellammare nell’estate 2023, dopo il Siena.
«Ho ricevuto la telefonata del presidente Langella. La lungimiranza della società mi ha colpito. Poi ho visto il mare e mi sono subito sentito come a Cecina».
Prima la promozione dalla C alla B, ora l’ottima partenza in campionato e il primo posto. Che effetto le fa?
«Tutti i 25 giocatori in rosa arrivano dalla C. Hanno grande umiltà e voglia di fare. A loro dico che dobbiamo giocare organizzati e avere chiaro l’obiettivo: la crescita quotidiana per puntare alla salvezza».
C’è una frase che ama ripetere spesso…
«Il famoso “morso sul metro”. È quell’aspetto interiore di ogni calciatore che lo porta a fare di più. A correre più forte, arrivare prima sul pallone, vincere un contrasto. C’è un centimetro su cui combattere, e quel centimetro fa sempre la differenza».
Sembra la metafora perfetta del suo percorso.
«Sono stato un calciatore di medio livello. Ho smesso presto e mi sono dedicato ai giovani. Seguivo i ragazzi del Cecina tra i dilettanti, mentre lavoravo come cassiere in un supermercato. Appena avevo un giorno libero, lasciavo tutto e partivo. Ho percorso tanti chilometri, passato ore a studiare e osservare il lavoro degli altri allenatori».
Da chi pensa di aver imparato di più?
«Quando sei agli inizi fai tue tante idee. Nel 2006 presi un mese di aspettativa per seguire Zeman al Lecce. Ho studiato da vicino anche Bielsa e Giampaolo. In Francia, ho trascorso settimane a Clairefontaine. Appuntavo tutto su un blocco note, e quando possibile registravo qualche video».
C’è stato un momento in cui ha capito che la sua vita sarebbe stata in panchina?
«Quando ho conosciuto Marco Baroni. Ero il suo vice alla Cremonese in Serie B nel 2019. Arrivavo da tante esperienze tra D e C, e nel frattempo lavoravo nell’azienda edile di famiglia. Con lui ho capito che dovevo lasciare tutto per dedicarmi al calcio».
Oggi possiamo dire che è stata la scelta giusta?
«Ogni tappa del percorso ti lascia qualcosa. Un allenatore ha tante responsabilità. Da tempo mi affido a uno psicologo dello sport, Fabio Ciuffini. Mi ha aiutato ad arrivare alla partita equilibrato, a canalizzare le energie invece che disperderle, e a restare concentrato sul presente».
Un principio molto comune in filosofia.
«Ho provato a interiorizzarlo nella mia quotidianità. Spesso all’alba passeggio sul lungomare per alleggerire le pressioni del lavoro. Guardare il mare mi rilassa. Castellammare è diventata casa mia».