Ecco l’intervista de “La Gazzetta dello Sport” all’ex portiere del Palermo Marco Amelia, ultimo portiere azzurro a vincere l’Europeo giovanile:
“L’ombra di Buffon ne ha frenato la carriera in Nazionale, senza togliergli comunque la soddisfazione di far parte della spedizione campione del mondo in Germania nel 2006. Ma non è l’unico titolo vinto da Marco Amelia con l’Italia. In bacheca ci sono altri due cimeli, come l’Europeo Under 21 2004 e il bronzo olimpico ad Atene, un mese più tardi. Oggi Amelia, 35 anni, si allena in attesa di una nuova squadra e una nuova stimolante avventura, dopo un anno diviso tra il Chelsea come vice di Begovic, dopo l’infortunio accorso a Courtois e il Vicenza, retrocesso in Lega Pro. E nel frattempo studia marketing e comunicazione, per portare le aziende in cui ha investito a un livello sempre più alto.
Amelia, che ricordi ha dell’avventura 2004? «Avevamo una grande pressione addosso, anche perché per l’opinione pubblica non eravamo tra gruppi più forti di quegli anni. Però era una squadra di grandi uomini prima di tutto. E lo dimostrammo. Ricordo ancora il discorso del presidente del Coni Petrucci e del presidente Carraro: l’Italia teneva tantissimo a qualificarsi per l’Olimpiade, quindi l’obiettivo minimo era chiudere tra le prime tre».
Quanto è importante per la carriera di un giovane questa manifestazione? «Oggi tantissimo, e lo capisci anche dall’attenzione mediatica che si porta dietro. Quando giocavo io c’erano tanti campioni come Hleb della Bielorussia o il blocco di Croazia e Serbia, pieno di qualità, ma se ne parlava meno. L’Europeo U21 è il primo vero step internazionale e per molti ragazzi diventa un modo per cominciare a confrontarsi con scuole calcistiche diverse, oltre incrociare i campioni del futuro».
Questa Italia le piace? «E’ un gruppo molto forte, certamente completo. Per questo le aspettative sono alte».
Lei è stato l’ultimo portiere U21 a vincere un Europeo. Stavolta potrebbe toccare a Donnarumma. Che idea si è fatto della questione con il Milan? «Non mi sento di giudicare o crocifiggere un ragazzo così giovane. Quella tra Gigio e il Milan sembrava la classica bella storia da portare come esem pio per i ragazzi che si avvicinano al professionismo. E invece poi è andata così. Lui e il suo agente hanno preso la loro decisione, ci avranno riflettuto bene e a lungo, valutando vantaggi e svantaggi di un addio. Credo che sia consapevole dell’esperienza fantastica che il Milan gli ha permesso di fare e della fiducia che hanno avuto nel lanciarlo così presto in Serie A. Donnarumma è sicuramente un ragazzo ambizioso che sa di poter avere una grandissima carriera davanti e forse oggi reputa il Milan un gradino inferiore rispetto ad altri top club».
Ma un po’ l’ha delusa? «Resto un romantico del calcio, mi sarebbe piaciuto vedere Gigio sempre al Milan e spero si
possa ancora tornare indietro. Altrimenti peccato, ma il Milan non finisce certo con Donnarumma. E’ stato grande e tornerà grande».
Gigio sta all’Under come Buffon ai grandi. Quanto è dura per le riserve dei fenomeni? «Io l’ho vissuta bene. Se vuoi migliorare devi allenarti con chi è più forte di te. Buffon è sempre stato uno stimolo, volevo “andare” come lui, ma logicamente non era possibile. Però quell’ambizione mi migliorava. E anche quest’anno con Courtois è stato lo stesso, perché anche a 35 anni ho ancora voglia di provare ad essere al loro livello».
In Italia c’è una nuova generazione di ottimi portieri. Da Meret a Scuffet, prossimi leader U21, a Zaccagno e Plizzari, protagonisti al Mondiale U20. «E aggiungerei nell’U20 Perisan, sempre dell’Udinese. La scuola dei portieri italiani è sempre stata la migliore, lo dice la storia e lo ha scoperto anche Courtois quest’anno, visto che ha avuto un preparatore italiano (Spinelli, ndr). Meret lo volevo piccolissimo in Lega Pro, quando avevo la Lupa Castelli: ben impostato tecnicamente e mentalmente. Scuffet l’ho scoperto dopo: a Como ha sofferto, ma ha un potenziale ottimo. Zaccagno ha fatto un gran Mondiale, Plizzari è giovanissimo e già terzo al Milan…».
Un segno dei tempi che cambiano? «C’è stata un’oggettiva necessità di puntare sui giovani. Questa, abbinata ai grandi preparatori italiani, ha creato questa bella invasione di talenti». Conferma indiretta: l’Italia del futuro è in mani sicure»“.