L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sul Mondiale in Qatar e riporta le parole di Southgate.
Entriamo nella gabbia dei Tre Leoni: St George’s Park, arcadico centro sportivo delle nazionali di calcio inglesi. Siamo a Burtonon-Trent, storico feudo di birrifici, a nord di Birmingham. Inaugurato dieci anni fa dal principe William, presidente della Football Association, tra le avveniristiche strutture di questo complesso da 120 milioni di euro e 130 bucolici ettari c’è persino un campo esatta copia di Wembley: misure, porte, il tipo di erba. Identico. Eppure, nessuna perfezione è assoluta, avvertiva Shakespeare. Difatti la maledizione si perpetua dal 1966, ultimo trionfo dell’Inghilterra che portò “il calcio a casa”. Ma ora la nazionale maschile allenata da Gareth Southgate ha un trend dei desideri: semifinale ai mondiali di Russia 2018, finale persa contro l’Italia agli Europei l’anno scorso, proprio a Londra. Ora il Qatar. Is Football coming home? Fallisci ancora, fallisci meglio, diceva Shaw, non il terzino inglese. Southgate mancò anche il rigore decisivo alle semifinali di Euro ’96, ancora in casa. Ora il 52enne tecnico è sotto accusa per le spaurite prestazioni pre Qatar.
E così, alla vigilia del Mondiale, Southgate ha deciso di parlare a Repubblica. Southgate, in Qatar sarà la volta buona? «Dopo gli ultimi Mondiali in semifinale e la finale di Euro2020, sarebbe una delusione non ripetersi. Ma temo gli infortuni dopo una prima parte di stagione così fitta. Dunque, sarà un Mondiale apertissimo: dagli ottavi in poi saranno tutte partite molto equilibrate».
Perché secondo lei l’Inghilterra ha la maledizione di steccare sempre? «Non è una maledizione. Semplicemente, non siamo stati bravi: non tenevamo la palla abbastanza, non abbiamo saputo gestire i momenti di pressione. Ma ora abbiamo posto basi solide. St George’s Park lo abbiamo aperto 10 anni fa: nel frattempo, abbiamo vinto gli Europei con la squadra femminile, i Mondiali under 17 maschili, quelli under 20, gli Europei under 19. E poi ci siamo noi. Inoltre, non siamo più un’isola chiusa al resto del mondo, grazie alla Premier League e ai migliori allenatori del globo che ci hanno fatto crescere esponenzialmente».
Vincere con l’Inghilterra è una missione impossibile? «Ogni torneo può essere il tuo ultimo. Certo, è la prima volta che c’è negatività intorno alla mia squadra. Ma i fischi ti fanno crescere. Il vero salto di qualità potremo farlo se cresciamo nei big match. La prima volta che mi hanno chiesto di allenare l’Inghilterra, ho detto no. Poi ho pensato: ai miei figli racconto che bisogna affrontare le sfide della vita. Ora tocca a me».
Ha ancora gli incubi per la finale degli Europei persa a Wembley contro l’Italia? «Non li chiamerei incubi. Ma è una sconfitta che porterò con me, per tutta la vita. Per molti rimarrò sempre “quello dell’Europeo”, anche se quest’anno dovessi vincere il Mondiale. Il nostro problema è stato passare in vantaggio dopo due minuti, in un torneo dove avevamo subìto un solo gol. Allora, subconsciamente, abbiamo smesso di pressare alti e di tenere la palla. L’1-1 (di Bonucci, ndr) ha ribaltato la psicologia della partita».
A posteriori, cambierebbe qualcosa? «Sì. Ma non voglio dire cosa. Il vero problema è che, a volte, se a centrocampo hai contro giocatori come Modric, Brozovic e Rakitic (contro la Croazia a Russia 2018, ndr) o Verratti e Jorginho, questi sono capaci di aggirare qualsiasi tua soluzione tattica. E poi io ho allenato solo 200 partite in carriera, contro l’Italia era la mia prima finale: devo ancora imparare molto».