Ferrieri Caputi: «Sognavo Baggio e arbitrerò in A. Per noi donne è solo l’inizio»
L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport§” riporta un’intervista a Ferrieri Caputi, l’arbitro donna che scriverà la storia in A che ha diretto anche la finale di andata tra Padova e Palermo ai playoff.
Né il fascino della divisa né segnali di “divismo”. Solo l’eccezionalità della semplicità. «Piacere, Maria Sole vien dal mare…» dice sorridendo. E si siede. Allegra e spiritosa con sobrietà, tenace e col sorriso sincero, sicura senza dare l’idea di presunzione: Maria Sole Ferrieri Caputi, 32 anni, croccantezza livornese, fidanzata («Ma non dico altro…» sorride), si presenta con ironia e srotola la propria vita. Arbitrerà bene o arbitrerà male? Arbitrerà in Serie A e B: è la Prescelta. «L’importante è che si giudichi la Maria Sole arbitro e non la Maria Sole arbitro donna: spero che tutte queste attenzioni ora positive rimangano anche quando sbaglierò» dice. Ecco Maria Sole insomma, il cui momento «più emozionante è stato quando mamma Linda, appena ufficializzato il mio passaggio in Can A e B, mi ha accolto in casa con la porta tappezzata di articoli su di me. Mi sono commossa». Si parla di vita, qui: non di fuorigioco attivo o passivo.
Lei avrebbe voluto giocare a calcio sognando di essere…?
«Roberto Baggio. Ma so che sarei diventata un Gattuso… Andavo a vedere le partite del Livorno al Picchi: il calcio mi emozionava, la cornice di gente era super. L’idolo? Igor Protti».
Ora che è tutto vero, come e dove se lo immagina il suo debutto da arbitro in A? E ha mai pensato di mollare anni fa?
«Ho pensato di mollare diverse volte: ai tempi della Promozione ricordo una gara in cui ci fu un allungo e io rimasi indietro. “Ma dove vai Maria Sole…” mi dissi. Ma lì, se hai dentro passione, scatta qualcosa. Fu la svolta. Il debutto? Sono ancora nella fase in cui spero che arrivi: diciamo che sono curiosa di vedere da vicino giocatori visti solo allo stadio o in tv, capire che persone sono. Le difficoltà che troverò? Saranno legate alla velocità del gioco, degli eventi, ai ribaltamenti di fronte, al mestiere di calciatore: più si sale più il giocatore ha mestiere».
Quante mancanze di rispetto ha dovuto sentire in passato?
«Nei campionati provinciali ne ho sentite tante, poi da anni non succede più fortunatamente. Da “Tr…” a “Put…”, da “Vai a rigovernare” a “datti al pattinaggio artistico”, da “Non ci capisci di calcio” a “Hai un contatto facebook?” me ne sono capitate. Come reagivo? Mi faceva sorridere e basta. Una volta un calciatore mi fissava e gli ho detto che la palla era altrove… In passato più che la paura ricordo il dispiacere: un paio di allenatori, ai tempi degli Allievi, nei campi polverosi di Livorno al freddo delle sei di sera, hanno dato spettacoli impietosi. In campo in qualche modo posso ristabilire la giustizia con i provvedimenti, con tutto il contorno è più difficile. Culturalmente bisogna fare ancora molto».
Che segnale è il suo esempio?
«Ho avuto la fortuna di capitare nel momento propizio dopo anni di sacrifici. Ci sono state donne che hanno fatto la storia dell’arbitraggio più di me: non è una conquista di Maria Sole, io sono l’ultima staffettista che ha portato il testimone al traguardo. Detto questo, per arrivare dove sono ho fatto il triplo della fatica degli altri, perché per arrivare agli standard degli uomini serve un impegno in più. È importante che se una donna in qualsiasi ambito fa qualcosa di mai fatto prima se ne parli. È un tema culturale e l’informazione è cultura. È importante far vedere che è possibile. Ed è giusto sottolineare un traguardo che è un punto di inizio».
Vita cambiata? E la… vanità?
«Qualcuno forse mi ha riconosciuta, una volta fuori mi hanno chiesto un autografo. Arbitro? Arbitro donna? Niente termini: solo Maria Sole. Fare l’arbitro è una scuola di vita: c’è la formazione della persona e degli obiettivi, l’accettazione delle responsabilità, l’aspetto relazionale con persone gerarchicamente o anagraficamente superiori, l’adattamento al gruppo. Vanità? In ogni arbitro un minimo c’è, sei in uno spettacolo mediatico».
Alle ragazze che vorrebbero fare il suo tragitto cosa dice?
«Devi essere corretta con tutti, leale, perseverante, resistente, resiliente. In campo devi essere naturale. L’autorevolezza è la qualità che ogni arbitro deve aspirare ad avere, ma ognuno ci arriva a modo suo. Sottoscrivo i giudizi di Trentalange (le donne sono più curiose meno presuntuose e sanno fare più cose assieme, ndr), ma non mi piace generalizzare. Certo che statisticamente le mie colleghe non sono presuntuose ma umili, disponibili investono tempo anche più degli uomini. I colleghi maschi? Mi sento sostenuta e accolta al meglio».
La prossima barriera da abbattere è il sogno di una designazione tutta femminile?
«Sarebbe bello, certo. Come avere sempre più donne in futuro: i dati delle iscrizioni dicono che siamo in crescita e l’esperienza di altre donne è stata una bella vetrina per il mondo arbitrale femminile, poi sono caduti i pregiudizi e la crescita del calcio femminile ha accompagnato questo processo di crescita. Non ultimo gli sforzi dell’Aia. Le ragazzine vedono in tv le ragazze che arbitrano e le vogliono imitare. E col Covid hanno mollato molto meno rispetto ai ragazzi. Le dico una cosa: più difficile arbitrare una partita femminile che maschile, il gioco è più imprevedibile…».
Studierà anche la tattica?
«Certamente. La studiavo già in C e continuerò a farlo».
Penserà che un fischio può avere ripercussioni forti?
«Sento la responsabilità di fare bene e che la verità del campo emerga».
Anche col Var.
«Sarei abilitata al Var, ho fatto l’assistente: ma non ho ancora abbastanza esperienza».
La sua partita perfetta?
«Senza episodi difficili e con due fischi: inizio e fine».
Facile: arbitro di riferimento?
«Due: Rocchi e Collina».
Maria Sole, lei sarà un Baggio o un Gattuso?
(ride) «Eh no, non ci casco: mi lascio giudicare dagli altri…».