Ex rosa, Pastore lascia il calcio giocato: «Non tornerò a giocare, il mio corpo non ce la fa più»
Javier Pastore, uno dei talenti più raffinati del calcio argentino, riflette sul suo percorso professionale e sulla vita dopo il ritiro. In un’intervista intima, realizzata in una caffetteria alla periferia di Madrid, Pastore ripercorre i momenti più intensi della sua carriera, ricordando i suoi anni al PSG, la Nazionale argentina, e le lezioni apprese da allenatori come Ancelotti e Blanc e da mentori come Maradona. Il talento soprannominato “Il calciatore maleducato” da Diego stesso, condivide anche i motivi del suo ritiro, il valore della famiglia, e la felicità ritrovata fuori dal campo.
Ecco l’intervista:
Vestito in tuta e cercando di passare inosservato, Pastore è lontano dai campi di calcio dal luglio 2023, dopo aver giocato le sue ultime partite a Elche e in Qatar. Alcuni connazionali lo riconoscono ancora e gli chiedono una foto, e lui si emoziona parlando dei figli, ai quali finalmente può dedicare il tempo che gli è sempre mancato. Pastore ha deciso di prendersi una pausa definitiva dal calcio per valutare come si sentiva prima di annunciare ufficialmente il suo ritiro. Ora, libero dal dolore, sorride ricordando i migliori momenti vissuti con club come il PSG e nella Nazionale argentina.
Quali sono i suoi ricordi del giovane Pastore? «Amavo giocare a calcio. Chiedevo a mia madre di accompagnarmi al club tre ore prima per allenarmi e osservare i giocatori più grandi. Era il mio posto preferito e il desiderio di competere e imparare non mi ha mai abbandonato».
Anche ai massimi livelli? «Mi sono divertito durante tutta la carriera. Il giorno della partita era il momento più felice, non importava contro chi giocassimo. Indossare gli scarpini significava iniziare a divertirmi, e questo non è mai cambiato, anche se le responsabilità aumentano».
Ora che non gioca più, come si diverte? «Tutto il tempo che dedicavo al calcio ora lo trascorro con i miei figli e mia moglie. Gli ultimi quattro anni sono stati molto dolorosi a causa del problema all’anca, e questo mi ha fatto vivere questa pausa senza rimpianti. Ora sono felice di uscire e passare il tempo con gli amici»
Il calcio ha lasciato lei o lei ha lasciato il calcio? «È stato un po’ reciproco. Il mio corpo non ce la faceva più, e il dolore all’anca era insopportabile. Alla fine, il calcio mi stava lasciando e anche la mia mente si stava stancando».
Qual è stata la svolta che l’ha portata a fermarsi? «Un giorno mio figlio mi chiese di giocare a palla in giardino, ma io non riuscivo nemmeno ad alzarmi dal divano per il dolore. In quel momento ho capito che dovevo fermarmi, non potevo rinunciare a vivere quei momenti con lui».
Pensa di aver chiuso con il calcio nella sua mente? «No, perché è la mia vita. Ma non tornerò a giocare. Ho lasciato una porta aperta per vedere come mi sentivo, ma ormai il calcio è molto più fisico, meno tecnico. Non mi vedo più in questo tipo di gioco».
Tra gli allenatori che ha avuto, c’è qualcuno che ricorda in particolare? «Ángel Cappa è stato il primo a darmi un’opportunità importante, Delio Rossi a Palermo ha costruito una squadra che esaltava il mio gioco. Al PSG, Ancelotti è stato fantastico, ma Blanc mi ha dato molta fiducia e libertà, ed è stato un periodo molto felice per me».
Maradona l’ha voluta anche per il Mondiale 2010. Cosa ha imparato da lui? «Con Diego imparavi sempre. Aveva un’interpretazione unica del gioco, vedeva le situazioni prima degli altri, come Messi. La sua umanità era speciale; mi ha insegnato tante cose, anche su come comportarmi in Italia».
Perché l’ha soprannominata “Il calciatore maleducato”? «Al Mondiale, dopo aver giocato 20 minuti e fatto qualche bella giocata, mi disse che ero ‘maleducato’ perché facevo quello che volevo con la palla. Per lui, quel soprannome era un complimento».
Che ricordo ha degli anni nella Nazionale argentina? «Erano tempi difficili per i risultati, e molti dei miei compagni venivano criticati dalla stampa. Non ho mai avuto l’onore di vincere un trofeo con l’Argentina, ma vedere i compagni soffrire mi pesava».
Cosa pensa della vittoria dell’ultimo Mondiale? «Vincere la Copa América è stato decisivo per fare accettare Messi in Argentina. Da quel momento, la squadra ha avuto un’aura diversa. Ho passeggiato per le strade del Qatar sapendo che sarebbero diventati campioni».
Che cosa ha provato vedendo Messi soffrire tanto? «Lo vedevo soffrire molto, tanto che a un certo punto disse che non avrebbe più giocato in Nazionale. Lo sentiva sul serio, credeva di essere un peso. Questo dimostra la sua umiltà e la sua bontà».
C’è qualche compagno di squadra che l’ha impressionata per umiltà e vicinanza? “Ibrahimovic è uno dei migliori compagni che abbia avuto, sempre pronto ad aiutare e a parlare. È stato molto più che un semplice compagno di squadra, un vero leader».
Qual è la differenza tra Neymar e Messi? «Neymar è un talento straordinario, ma per lui il calcio è più un gioco. Messi, invece, vive per il calcio. Neymar ha avuto anche una grande esposizione mediatica fin da giovanissimo, il che a volte lo distoglie dal campo».
Quali calciatori vivono il calcio come passione pura? «Di María è uno di quelli, e anche Mbappé è molto concentrato. L’ho visto crescere e ha sempre avuto una visione chiara: mettere il calcio al primo posto».
C’è stato un momento in cui si è immaginato una vita senza il calcio? «Non l’ho mai pensato. Da bambino giocavo a calcio tutto il tempo, era il mio sogno e non riuscivo a immaginare altro».
Pensa che potrà essere felice senza il calcio? «Sì, già ora sono felice senza giocare. Il calcio è stato la mia vita, ma ho sempre saputo che sarebbe durato 15-20 anni. Ora mi sento tranquillo, e per me vivere a Madrid rappresenta questa serenità».