L’ex rosanero Simone Lo Faso ha rilasciato una lunga intervista al portale “SerieD24.com” parlando della sua carriera e anche dei trascorsi al Palermo.
Ecco le sue parole:
«Vivo di ambizioni, finché sono accese non posso smettere di sognare. Rientrare, fare gol e vincere con il Livorno dopo un mese è stato bello». Sole, cortile e un pallone. Basta poco per accendere i sogni di Simone Lo Faso. In quei giorni non c’erano allenatori né obiettivi: solo la semplicità di un bambino che stringeva il pallone sotto il braccio.
«Non c’erano scuole calcio vicino a casa mia, giocavo in strada o al parco, poi ci siamo trasferiti e mi sono iscritto. Nelle amichevoli con il Palermo io riuscivo sempre a segnare. Mio padre lavorava e non aveva modo di vedermi alle partite. Una volta, quando ero piccolo, l’allenatore lo invitò al campo, ma eravamo in ritardo. La squadra stava perdendo, entrai, segnai cinque gol e recuperammo. Quando sei bambino è ancora più bello giocare, è diverso, giochi con leggerezza, senza pensieri. Via da Palermo? In quel momento il Siena era in Serie A ed era uno dei migliori settori giovanili. Ero lontano da casa, inizialmente soffrivo ma all’età di 13 anni cucinavo e mi facevo il letto. A gennaio tramite il direttore Baccin ottenni il primo contratto. A quel punto mi dedicai al 100% sul calcio».
«Tornato a Palermo mi sono proiettato nel calcio dei grandi. De Zerbi lo sento spesso. Per me è stato un padre calcistico, ero giovane ma già avevo capito che quell’allenatore era un fenomeno. Ricordo che giocavamo un Cagliari-Palermo, poi avremmo affrontato il Milan. Mi riscaldai senza entrare. Dopo la partita De Zerbi mi chiamò in uno stanzino dicendomi che non voleva rovinarmi un esordio con la sconfitta e di prepararmi in vista della partita contro il Milan. Diamanti in quella settimana, dopo ogni partitella, diceva a De Zerbi di farmi giocare. Parliamo di un allenatore che lavora su ogni dettaglio, non a caso oggi tiene testa al Liverpool in Premier League. Un’altra figura essenziale per me è stata Gianni Di Marzio. Quando ero a Palermo mi disse che la prima giocata nella mia mente il calciatore di Serie A l’aveva già letta, e di fare quindi l’opposto. Ancora oggi mi porto dietro questa frase. Sono persone che fanno bene al calcio».
Un palermitano nel Palermo. Dalle strade della sua città al prato del Renzo Barbera. La maglia era la stessa che da piccolo portava in cortile. I sogni si erano realizzati. «Se ci penso mi vengono i brividi. Sono partito dai pulcini, facevo il raccattapalle, vedevo lo stadio pieno, il Palermo di Miccoli, Dybala, Pastore. Giocare per la città dei miei genitori, dei miei amici è il massimo dell’ambizione».