Ex rosa, Dybala: «A 18 sono venuto in Italia, sapevo che poteva essere l’unica opportunità nella mia carriera»

Paulo Dybala, ai microfoni di Television Public nel programma “Llave a la Eternitad”, ha parlato su alcune vicissitudini della sua carriera: dall’arrivo in Italia, al Mondiale e sulla sua famiglia.

Di seguito le sue parole:

«Infortunio prima del Mondiale? All’inizio non era chiara la gravità, quando ho fatto gli esami e i medici mi hanno comunicato l’entità dell’infortunio mi è caduto il mondo addosso. È stato un momento duro. Il dottore mi ha detto che la lesione era al limite e lì ho capito che avevo ancora una possibilità. Mi sono detto che dovevo lavorare tranquillo, fisicamente e mentalmente. I dottori mi hanno aiutato tantissimo e i risultati sono pian piano arrivati. Poi è arrivata la settimana della sfida contro il Torino: io mi sentivo bene, già mi stavo allenando con la squadra e quindi ho detto a Mourinho: “Devi farmi entrare, devi farmi entrare”. “Sì, ho capito che vuoi giocare”, la sua risposta. Per me dipendeva tutto da quella partita, dovevano vedere che stavo bene. La lista dei convocati era uscita qualche giorno prima di Roma-Torino, Mourinho mi ha chiesto quanto volevo giocare e io ho risposto “20-30 minuti”. Stavamo perdendo e lui mi ha comunque fatto giocare 30 minuti. Ho giocato e mi sono sentito bene”»

«Mia madre è un sostegno molto importante per me. È cresciuta in un ambiente molto legato al calcio, anche mio padre era appassionato di calcio e hanno avuto tre figli altrettanto appassionati. Dopo la perdita di mio padre, lei ha svolto un ruolo molto importante per noi, soprattutto per me, che ero il più giovane della famiglia. Dopo quella tragedia, è iniziata la mia carriera calcistica, tutto è andato molto velocemente. Ho debuttato all’Instituto a 17 anni e poi a 18 sono venuto in Italia. Forse avrei potuto aspettare un po’ di più, ma sapevo che questa poteva essere l’unica opportunità nella mia carriera. Quando ho detto che volevo venire in Italia, mia madre è venuta con me. Quando ho comunicato alla mia famiglia che volevo venire in Italia, ovviamente mi hanno sostenuto. Sapevano che era un grande cambiamento, ma il calcio ha queste cose. Mia madre ha detto “vengo con te”. All’età di 16/17 anni, quando è arrivato Darío Franco all’Instituto, è stato lui a notarmi e a farmi allenare con la prima squadra. Ero ancora al liceo e, naturalmente, mia madre e mio padre pensavano che la scuola fosse la priorità. Vivevo nell’ostello, spesso saltavo la scuola a causa degli orari degli allenamenti, e mia madre non approvava questa scelta, mi rimproverava. Un giorno, abbiamo avuto una riunione in cui i miei fratelli hanno detto a mia madre: “Mamma, lascialo fare perché questa potrebbe essere un’opportunità unica”. I miei fratelli vedevano che le cose potevano andare bene. In quel momento, mia madre ha capito che doveva concedermi un po’ di libertà per inseguire il mio sogno, che era ciò che mio padre voleva. Fortunatamente, tutto è andato per il meglio. Altrimenti, penso che sarebbe rimasta molto arrabbiata».

«Mondiale? Ero già tornato in Italia. Stavamo guardando un film con Ori e è stata la prima notte in cui ho pianto pensando al Mondiale e a mio padre, che non era con me mentre alzavo la Coppa. Mi sono tornati in mente molti ricordi, perché penso che se qualcuno meritasse di essere lì quella notte fosse mio padre per tutto lo sforzo che ha fatto per farmi realizzare il mio sogno. Il film è finito e abbiamo cominciato a parlare un po’, e all’improvviso è arrivato tutto. Era da tanto tempo che non piangevo così tanto, davvero tanto. Oriana non capiva cosa mi stesse succedendo e io non riuscivo a spiegarle perché stavo solo piangendo e piangendo. Quando sono riuscito a dirle, sono caduto un po’ da tutto ciò che era successo ed è stato il non aver potuto condividere qualcosa di così grande perché ho avuto la fortuna di vincere titoli, alzare trofei e ognuno è speciale per qualche motivo, ognuno mi ha lasciato qualcosa, ma questo è qualcosa che non ha paragoni con nient’altro. Credo che se qualcuno avesse meritato che ci scattassimo una foto o alzassimo la Coppa, o gli dessimo un bacio a quel trofeo, sarebbe stato lui, perché ha fatto di tutto affinché realizzassi il mio sogno, ogni capriccio. Sarebbe stato unico, ma comunque c’era anche mia madre, che è incredibile. Nella fase a gironi ero al 50%. Durante i festeggiamenti Samuel è venuto e mi ha detto ridendo: ‘Sei un figlio di p****na…, non stavi bene, abbiamo visto le prime partite dell’allenamento e non potevi muoverti’. Sono onesto, non potevo muovermi».