L’ex rosanero Cesare Bovo è stato intervistato da “PalermoToday” ripercorrendo la sua carriera sin dagli inizi fino al Palermo dell’era Zamparini.
Ecco qualche estratto:
«Stagione 2000-01, io un ragazzino romano e romanista nella squadra di Capello in mezzo a campioni come Batistuta, Totti, Samuel e Montella. Giocavo con la Primavera, era un sabato, mi arrivò una telefonata e mi misero su un aereo diretto a Milano. Il giorno dopo feci la prima panchina. A San Siro contro il Milan, perdemmo 3-2 e Capello ci raggiunse nelle docce e ci disse: ‘Quest’anno vinceremo lo scudetto’. Ebbe ragione. Per tutta la stagione mi divisi tra Primavera e prima squadra, andai pure in panchina ad Anfield Road in un Liverpool-Roma di Coppa Uefa. Alla fine misi insieme otto convocazioni, esordendo a Brescia in Coppa Italia la stagione successiva. Dopo la Roma andai al Lecce per farmi le ossa».
Ma già allora la vita di Bovo stava iniziando a incrociarsi con l’universo rosanero. «Zamparini nel 2002 aveva comprato il Palermo da Sensi e venni inserito in questo maxi affare: lui era innamorato di me. Nel 2004 ero a Parma in prestito ma per metà del Palermo e della Roma. In gialloblù feci benissimo, giocai 41 partite, arrivammo in semifinale in Uefa e vincemmo lo spareggio per non retrocedere contro il Bologna di Mazzone. Tornai alla Roma e trovai Spalletti».
Una stagione condita da 36 presenze. «Niente male per un ragazzo di 22 anni. L’anno dopo venni a Palermo e al primo giorno di ritiro mi ruppi il piede». Siamo nel cuore dell’estate 2006. «Quinto metatarso spezzato, sono stato fuori due mesi e mezzo. Fui operato male, tanto è vero che ebbi due ricadute durante quella stagione. Quando sono rientrato Guidolin non mi vedeva, mi disse che non sapeva neanche chi fossi. Feci in tempo a giocare contro il Cagliari, senza sfigurare. Poi però ebbi una ricaduta e a gennaio andai via, a Torino. Un bel periodo, avevo 24 anni. Una volta risolti i problemi fisici andai al Genoa trovando Gasperini. Un’annata stupenda, lui è un tipo duro ma ti diverti».
Nel 2008 il Palermo lo riscatta per tre milioni più il cartellino di Biava. «Zamparini voleva a tutti i costi che tornassi. Si può dire che negli anni di Palermo ho raggiunto calcisticamente il mio livello migliore. Quando ero in rosanero pensavo di trovarmi in una grande squadra, in una big del campionato. Perché quello era il Palermo. Eravamo una famiglia, tutti ragazzi attaccati alla piazza e alla maglia che sentivamo nostra. Penso che prima i gruppi erano strutturati diversamente. Noi eravamo un nucleo di ragazzi dai 25 ai 30 anni che arrivava sempre puntuale, che si allenava sempre bene ed era mentalizzato. Poi arrivava magari il giovane forte, come poteva essere Pastore, e veniva immerso in un gruppo che lo trascinava. Quindi il giocatore talentuoso in quel contesto veniva esaltato. Lo zoccolo duro è fondamentale e qua si era creata una squadra importante con meccanismi perfetti. Ci conoscevamo, si usciva insieme. Le differenze le ho notate di più quando ho iniziato a fare l’allenatore. Penso a quando ho cominciato io: arrivavo al campo con lo scarpino nero, raccoglievo i palloni come facevano tutti i giovani, ero educato. Ho avuto sempre un bel rapporto con tutti. Il compagno con cui sono rimasto più affezionato ai tempi del Palermo? Più di uno. Simplicio lo sento sempre, ma anche Liverani che una volta che ha smesso mi ha fatto lavorare con lui tra Parma, Lecce e Cagliari. Sento Cassani, Balzaretti, Nocerino, Pastore, Ilicic, Sirigu, Guana, che mi chiamava il Kaiser. Sì, eravamo un gruppo unito».