L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” riporta un’intervista all’ex tecnico del Palermo Ignazio Arcoleo.
In quell’abbrivio di 1977 l’allora ministro delle Poste e Telecomunicazioni Vittorino Colombo al termine delle edizioni serali del TG1 e del TG2 avverte gli italiani: tenetevi pronti, sta per cominciare un mondo a colori. Momento epocale, la Rai è in fibrillazione. Domenica 6 febbraio, 15ª giornata di Serie A, ultima del girone di andata, molti dubbi sulla sintesi serale della partita da trasmettere. Maurizio Barendson, responsabile dello Sport al TG2, taglia corto. «Il Genoa è la squadra con la maglia più adatta per una trasmissione a colori, con quei grossi rettangoli rossi e blu renderà molto bene sul terreno verde del campo». E così sia: Genoa-Torino apre una nuova era. Finisce 1-1. Il primo gol a colori nella storia del calcio italiano lo segna Ignazio Arcoleo, centrocampista del Grifone.
Arcoleo, cosa ricorda di quel giorno?
«Avevo 29 anni, ero al terzo campionato col Genoa. Segnai dal limite dell’area, poi pareggiò Pulici. E la sera davanti alla tivù pensai: questo gol verrà ricordato».
Che giocatore era? «Centrocampista, con il compito di marcare la mezzapunta avversaria. Davo equilibrio al gioco, ero sempre al posto giusto. L’allenatore Gigi Simoni mi diceva: sei insostituibile».
Quali sono le sue origini? «Palermitano, figlio di pescatori, cresciuto a Mondello di fronte al mare. Frequentavo l’istituto nautico, mi sono diplomato capitano di lungo corso. Da ragazzino i miei idoli erano Rivera e Pelé. Rivera lo vedevo in televisione, Pelé mai, lui lo sognavo. Quando ho vestito la maglia del Palermo ho provato un orgoglio immenso».
Il nome di Arcoleo è legato al cosiddetto “Palermo dei Picciotti”. «Stagione 1995/96, alleno il Palermo. Non c’è una lira per fare la squadra. Prendo di petto la situazione, non sono uno che si tira indietro di fronte alle difficoltà. E dico: ci penso io. Nasce la squadra dei siciliani. Assennato, Compagno, Lo Nero, Galeoto, Pisciotta, Tanino Vasari e Giacomo Tedesco tutti di Palermo, Nino Barraco di Marsala: sono loro i picciotti. Imbattuti nelle prime 11 giornate, 7° posto finale, stadio della Favorita sempre pieno, ogni volta un miliardo di lire di incasso. In Coppa Italia abbiamo eliminato il Parma di Zola e del Pallone d’oro Stoichkov, era la squadra che tre mesi prima aveva vinto la Coppa Uefa; e poi il Vicenza di Guidolin».
Sono soddisfazioni. «Mi chiamò anche Sacchi, all’epoca c.t. della Nazionale: “Ignazio, ma quanto corrono i tuoi ragazzi?”. Avevo grandi intuizioni: contro il Cesena stavamo perdendo, dissi a Berti, il mio portiere, di andare in attacco. Se lei va a vedere su Youtube c’è Berti che fraseggia con i compagni al limite dell’area avversaria, quella mossa fu decisiva: pareggiammo in pieno recupero».
Arcoleo, per lei c’è un’altra data-bivio: 23 maggio 1992, il giorno in cui ammazzarono il giudice Giovanni Falcone.
«Il destino ha voluto che mi salvassi. Allenavo a Trapani, abitavo a Palermo. Quel tratto di strada lo facevo tutti i giorni. Quel giorno dovevo pranzare con il presidente Bulgarella, ma ebbe un impegno improvviso di lavoro e saltò tutto, così tornai a casa prima del previsto e non nel pomeriggio, come facevo di solito. Sarei passato a Capaci nell’ora in cui accadde la tragedia».
Diciassette anni di carriera da calciatore, poi la nuova avventura in panchina. «Avevo imparato dai miei allenatori. Da Gigi Simoni la perfezione del gesto tecnico, da Corrado Viciani la cura della preparazione fisica, da Nando Veneranda il gioco a zona. Prima squadra allenata il Mazara, nei Dilettanti, l’anno il 1983. Sa cosa dicono oggi a Mazara?».
No, cosa dicono? «Dicono che Guardiola mi ha copiato (ride) , perché il tiki-taka lo facevo già io all’epoca».