Calcio Internazionale

Escl. João Pedro: «Tifo per Palermo e Cagliari. Retegui e razzismo…»

«Seguo sempre Palermo e Cagliari, anche se per via del fuso orario non riesco sempre a vedere le partite. Il Cagliari è guidato da un grande allenatore e il legame tra la squadra e la piazza è sicuramente un valore aggiunto. Questo aspetto si vede anche a Palermo dove i tifosi accorrono numerosi allo stadio a sostegno dei rosanero. Tifo per loro e spero che entrambe possano centrare i rispettivi obiettivi». Questo il pensiero ai microfoni di ilovepalermocalcio.com di Joao Pedro ex attaccante di Palermo e Cagliari, tornato in Brasile per vestire la maglia del Gremio.

Lei arrivò in Italia grazie al Palermo. Deluso dal poco spazio avuto in rosanero?

«Arrivai al Palermo molto giovane e avendo giocato con continuità in Brasile, avrei voluto avere più spazio al mio arrivo in Italia. È anche vero però che arrivai in una squadra molto forte che stava disputando un campionato importante, con giocatori di livello dai quali avevo tanto da imparare. Nella mia carriera però l’esperienza di Palermo resta molto importante».

Cosa hanno significato per lei due figure come Walter Sabatini e Delio Rossi?

«Con il direttore c’è un rapporto speciale di fiducia reciproca. Fu lui a portarmi in Italia e non smetteva mai di sostenermi invitandomi ad avere pazienza. Rossi è stato più di un allenatore, un professore, e mi ha sempre aiutato al pari del presidente Zamparini».

Che idea si è fatto di Brunori?

«È un giocatore che ha delle qualità e ha dimostrato di avere dei numeri importanti. Per lo sviluppo della sua carriera sarà importante e interessante vedere come si comporterebbe nella massima serie. Ho giocato nel campionato cadetto e le differenze con la Serie A sono tante. Per la definitiva consacrazione sarebbe dunque importante per lui potersi misurare con la Serie A e spero possa farlo con la maglia rosanero».

A Palermo nel tragico spareggio perso con la Macedonia la sua unica presenza con la Nazionale. Cosa le resta di quella sera?

«In quella partita trova posto uno dei pochi rimpianti della mia carriera. Nonostante i pochi minuti giocati avrei voluto dare di più e sento che avrei potuto farlo. Quella sera si chiusero nuovamente per la nostra Nazionale le porte di un Mondiale e questa è una ferita che resterà sempre aperta».

Che idea si è fatto del nuovo ciclo targato Spalletti e di Retegui?

«Mi piace molto questa Nazionale. C’è il mix giusto tra giocatori giovani ed esperti. Gli azzurri stanno esprimendo un gioco di qualità anche grazie alla guida di un grande allenatore come Spalletti. Retegui sta facendo bene in questo momento e sta segnando, ma non bisogna dimenticare anche l’esperienza di un attaccante come Immobile. Con loro il reparto azzurro può certamente vantare due ottime soluzioni».

Ha lasciato l’Italia dopo la retrocessione con il Cagliari. Quanto è stata difficile come scelta?

«Da capitano di quella squadra ho sofferto molto la retrocessione e la scelta di andar via. Non è stata solo una mia volontà, ma anche la Società aveva preso la sua decisione. A quel punto essendo per natura molto competitivo ho deciso ci provare a misurarmi in un altro campionato, vivendo l’esperienza di giocare in un club per vincere il campionato».

Ha mai pensato di poter chiudere la carriera a Palermo prendendosi una sorta di rivincita?

«Proprio il mio essere competitivo mi ha portato a fare questo pensiero. Ho riflettuto sulla possibilità di tornare in rosanero da giocatore maturo e formato, per fare ciò che non sono riuscito a fare in giovane età. Lo stesso ragionamento mi ha riportato in Brasile, scegliendo un club glorioso come il Gremio che lotta per vincere ogni competizione che disputa. Oggi penso solo al Gremio, ma nel calcio comunque può succedere di tutto. Tornare a Palermo non è un obiettivo ma resta una porta che non si chiude mai».

Ha seguito il caso Acerbi-Juan Jesus?

«Ho letto qualcosa ma non mi permetto di giudicare. Conosco entrambi. Con Juan Jesus sono legato da un legame di parentela, mentre con Acerbi siamo stati protagonisti di tante battaglie sul campo. Quello del razzismo nel calcio resta purtroppo un tasto dolente. È un tema che però va affrontato con una certa fermezza, altrimenti sarà destinato a non finire mai».

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Giorgio Elia