«Sabato al Braglia mi aspetto un match molto equilibrato. Ritengo l’organico del Palermo superiore rispetto a quello del Modena, ma nel campionato cadetto è difficile assistere a confronti privi di equilibrio. Sarà una partita decisa dagli episodi». Questo il pensiero di Edgar Çani, doppio ex della sfida di sabato tra Modena e Palermo, ai microfoni di ilovepalermocalcio.com.
Cosa ricorda del suo passaggio dal Pescara al Palermo?
«Ero giovanissimo e per me sono stati momenti bellissimi, vissuti con un po’ di ansia. Era il mese di gennaio e mi stavo allenando quando, al termine della seduta, mi dissero che ero stato acquistato dal Palermo. Allenarmi in un club di Serie A con campioni del calibro di Miccoli, Amauri e Barzagli rappresentò per me una grandissima emozione».
Dopo l’arrivo, una serie di prestiti. Si sarebbe voluto affermare in rosanero?
«Sono contento della mia carriera, ma guardando indietro, avrei cambiato questo aspetto. Andare sempre in prestito mi portava a partire un gradino indietro nei miei ritorni a Palermo, e questo mi penalizzò. I continui cambi di direttore sportivo non mi aiutarono e mi privarono della giusta continuità. È un piccolo rimpianto, perché avrei voluto giocare di più con la maglia rosanero».
Alcuni calciatori lamentano il fitto calendario a cui sono sottoposti. Lei da quale parte si schiera?
«Le rose devono essere ampie e penso sia più una responsabilità delle società. Il calciatore può solo lamentarsi con la dirigenza o con il proprio allenatore se viene fatto giocare sempre. Noi facciamo spettacolo e dobbiamo seguire le esigenze e le richieste degli spettatori di questo sport. Credo dunque sia giusto non lamentarsi».
Lei a Pisa ha conosciuto Gattuso. Come mai, secondo lei, non ha più trovato una panchina in Italia?
«Dal punto di vista umano, mi ha dato tantissimo. Sotto la sua guida sono cresciuto sia come professionista che come persona. Sono molto legato a lui e lo considero una mosca bianca per la sua schiettezza e sincerità. Forse proprio per questo motivo è un personaggio difficile. Penso però che sia solo questione di tempo per la sua affermazione in Italia».
Nella sua vita c’è stata anche una parentesi da attore nella serie “Carabinieri”. Cosa avrebbe fatto se non fosse diventato calciatore?
«Abito a Città della Pieve e in quel periodo stavano girando delle puntate della serie. Molti si presentarono alle audizioni per fare da comparse, e lo feci anche io per gioco. Alla fine venni preso. La mia ambizione però è sempre stata quella di diventare un calciatore e ho sempre lavorato per raggiungere questo obiettivo».
C’è un aspetto del mondo del calcio che l’ha fatta arrabbiare?
«Credo che si tratti più di riflessioni fatte in età adulta. Noi calciatori siamo la parte più pulita e onesta del mondo del calcio, quelli chiamati a giocare senza pensare ad altre cose o sotterfugi. Nonostante ciò, siamo la parte meno tutelata in questo settore».
Ha qualche rimpianto per qualche trasferimento saltato nella sua carriera?
«Quando giocavo in Polonia e stavo facendo bene con la mia Nazionale, si avvicinarono club importanti del panorama europeo come Wolfsburg e Getafe. Avevo una situazione particolare con il club polacco per via di alcuni stipendi non pagati, e le squadre che mi cercavano si tirarono indietro quando capirono che ero in causa con il club. Alla fine, comunque, le cose andarono bene, perché tornai in Italia, in Serie A, con la maglia del Catania».
C’è un episodio della sua carriera che la fa ancora ridere?
«Ero a Bari e ricordo che il direttore Angelozzi entrò nello spogliatoio per farci una sfuriata. Nell’impeto, diede un calcio molto forte a una borsa pesante, finendo per farsi male e cadendo all’indietro. Dalla paura per la sfuriata, passammo subito alle risate per quanto accaduto».