Entra in scena Vasco e finisce il tabù dello stadio proibito: “Viva Palermo”

L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sul concerto di Vasco Rossi a Palermo e in particolar modo sulla prima delle due date tenutasi ieri.

La felicità è una corsa oltre le transenne verso uno spicchio di prato più vicino possibile al palco. Lì sotto, sopra la copertura che protegge l’erba, a sventolare bandiere rosanero o rossogialle della Trinacria, mentre in curva nord parte una “ola” che contagia la tribuna manco fosse una partita della Nazionale. Cade così, alle 21,15 di un’afosa serata di giugno, sotto il calpestio dei 35mila devoti di Vasco, il tabù lungo venticinque anni dello stadio di Palermo proibito alla musica. Sul palco c’è lui, Vasco Rossi, diciotto anni dopo l’ultima volta in città, pifferaio magico di questo popolo adorante che ha sopportato l’attesa sotto il morso della canicola, capace di far accendere migliaia di cellulari con la sua “Dillo alla luna”.

È qui la festa, in questo “Rock’n roll show”, come canta Blasco dopo aver eseguito “Stendimi”. Berrettino, giacca verde striata, al centro di quel palco enorme, con la grinta di sempre, scatena il pubblico con un «Viva Palermo: tutta la Sicilia è straordinaria». Ma se Vasco, di sera, invita a dirlo alla luna, di pomeriggio la lunga attesa è una sfida con il sole. Il termometro in viale del Fante, lato piscina comunale, segna 31 gradi, e davanti alle transenne, accalcati aspettando il via libera delle 15,30, ci vogliono gli ombrelli per proteggersi. «Ma noi possiamo stare anche una settimana sotto il sole, non ce ne frega niente», dice spavaldo Francesco, 17 anni, arrivato con il suo gruppo di amici da Piana degli Albanesi. Sono in coda dalle 12,30, tre ore prima dell’ingresso sul prato e, manco a dirlo, sono fan di provata fede: Andrea Vicari, 28 anni, l’anno scorso era a Messina, quando il “Barbera” era ancora proibito.

Non riusciva a trattenere le lacrime. Era emozionato. Il pensiero di assistere allo show di Vasco lo faceva camminare su e giù nervosamente, in attesa che si aprissero i cancelli del “Barbera”. Giuseppe Marinello, 60 anni, in fila già dalle prime ore del pomeriggio, non vedeva l’ora che venisse sera, per poter intonare allo stadio insieme agli altri 35mila fan i successi di Blasco. Maglietta nera e bandana in testa, originario di Roccamena ed emigrato in Svizzera, è un fan del rocker modenese da una vita. Eppure ogni volta la stessa storia: le canzoni del Komandante lo emozionano. «Sono stato a quasi tutti i suoi concerti – dice – e ogni volta “scappo” dalla Svizzera per seguire le tappe dei suoi tour in Italia. Di Vasco amo tutto, per me la sua vita è stata una lezione: grazie a lui ho capito che, se in gioventù si possono commettere degli errori, è sempre possibile rialzarsi dopo ogni caduta. Devo molto a Vasco».

Marinello, che a Lugano fa il macchinista, ha visto il Blasco per la prima volta nel 1983, «quando ancora non era nessuno». Si trovava a Frassineto Po, in provincia di Alessandria, alla festa delle fragole, e capì che lo avrebbe seguito per il resto della sua vita. «Vasco è umano – continua il fan – e per questo è amato da tutti, adulti e bambini. Anche se non ha mai vinto al festival di Sanremo, ha avuto una carriera strepitosa. Come si dice, “i cavalli buoni si vedono a lunga corsa”». È arrivato a Palermo dalla Svizzera, via Roccamena, insieme alla sua famiglia e a un gruppo di amici, tutti uniti dall’amore per il rocker. «Non ci saremmo mai persi un concerto del nostro idolo – dicono – e non ci importa se dobbiamo stare in fila per ore e soffrire il caldo». «Finalmente dopo tanti anni è arrivato a Palermo – aggiunge Giuseppe – e anche se ho sborsato 97 euro, più le spese del viaggio, è una scelta della quale non mi pento assolutamente. La rifarei altre mille volte».

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Redazione Ilovepalermocalcio