Draghi a Gravina: «Stadi da chiudere». Ultimatum al calcio
L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sull’ultimatum da parte del governo al calcio italiano.
Sulla scacchiera del calcio – che non sempre viene rispettata, come dimostrano gli assembramenti negli stadi – si sono mosse le pedine principali. Ora non esistono mediazioni, rassicurazioni, promesse o strette di mano. Ieri sono scese in campo le regine degli scacchi. Il premier Mario Draghi ha chiamato il presidente della Figc, Gabriele Gravina, esprimendo «preoccupazione» circa l’immagine che il calcio sta dando al Paese: domenica le telecamere hanno mostrato in tv il mancato rispetto della disposizione a scacchiera (un posto sì e un posto no per garantire il 50% di capienza) praticamente ovunque, oltre ai troppi tifosi senza mascherine ben indossate. L’Esecutivo ritiene la federazione un alleato responsabile, ma non vuole più giustificare agli occhi del Paese le lacune dei club. Al punto che, il presidente del Consiglio ha presentato lo scenario al quale si rischia di andare incontro nei prossimi giorni: «la chiusura degli stadi».
INSODDISFAZIONE. La misura era stata già proposta nell’ultimo Consiglio dei Ministri, dopo che il ministro della Salute, Roberto Speranza, avrebbe manifestato la volontà di fermare il campionato a causa dei troppi contagi. Draghi ha quindi portato all’attenzione di Gravina l’insoddisfazione dello stesso Speranza, del Cts e di alcuni membri del governo circa il mancato rispetto delle regole durante le partite. E l’ha fatto il giorno dopo un turno di campionato (con 4 gare rinviate) che è somigliato, per incertezze e timori, alla famosa 26ª giornata del 2019-20. La ricorderete, fu l’ultima prima del lockdown: il Covid la spaccò letteralmente a metà, ponendo la Serie A nella condizione di far giocare i recuperi in fretta e furia la settimana successiva (8 marzo). Poi tutti a casa. Un’analogia che non promette niente di buono.
AUTORIDUZIONE RESPINTA. Nella chiacchierata, definita da entrambe le parti «conoscitiva» circa lo stato dell’arte e senza alcun tipo di tensioni, il presidente del Consiglio ha fatto una domanda specifica al suo interlocutore: «Cosa state facendo in questo momento di emergenza?». Gravina ha ricordato l’impegno nel sensibilizzare gli atleti alle vaccinazioni (solo il 2% oggi è no-vax) e anche come il protocollo federale continui a dettare le regole del gioco. Ha spiegato, inoltre, che dalla Serie C fino ai campionati dei bambini è tutto fermo. Il numero uno del calcio italiano ha informato l’assemblea della Lega Serie A sul colloquio telefonico, ma la risposta delle società all’aut aut governativo è stata… alzare un muro. Gravina avrebbe proposto ai club di dare un segnale al Paese – manifestando quella responsabilità messa in discussione da più parti – con un provvedimento: autoriduzione degli ingressi negli stadi a 5.000 persone, in modo da gestire meglio gli accessi e facilitare i controlli. Anche qui, niente da fare.
INCONTRO. A questo punto diventa sempre più decisivo l’incontro di mercoledì tra le istituzioni calcistiche, la Conferenza Stato-Regioni e il governo rappresentato dai ministri Speranza e Gelmini e dalla sottosegretaria Vezzali. Inevitabilmente non sarà più una riunione per discutere solo delle decisioni delle Asl. Su tutte: le aziende sanitarie locali possono bloccare i “contatti stretti” del positivo che sono vaccinati con tre dosi? Le nuove norme sulla quarantena dicono di no, ma anche che poi bisognerebbe indossare la mascherina per 10 giorni (come giocare a calcio?). Sul tavolo finirà anche la questione delle porte chiuse, ormai molto più di una minaccia. Intanto, ieri Vezzali ha chiesto e ottenuto che al summit partecipino pure i presidenti federali Petrucci (basket) e Manfredi (volley), oltre alle leghe.