Donadoni contro De Zerbi, cronaca di un disamore: quella volta che l’allenatore rosanero venne messo fuori rosa
“Quindici anni cancellano tutto, memoria e rancori. Soprattutto nella mente di chi, come Roberto Donadoni, ammette di dimenticarsi sistematicamente del passato, «perché a voltarsi indietro – ripete sempre – si sprecano energie». Chissà se anche Roberto De Zerbi, collega e prossimo avversario col Palermo, la penserà allo stesso modo, ricordando i tempi in cui Donadoni lo mise fuori squadra a Lecco. Acqua passata, certo. Ma la tenzone ora li vuole nemici per un giorno. E con un precedente così, anche quindici anni sembrano ieri. Tutto accadde, appunto, nel 2001. Il trentottenne Donadoni, iscritto al master di Coverciano, chiusa la carriera da calciatore in Arabia nell’Al-Ittihad debuttava sulla panchina del Lecco, dove il suo arrivo era stato accolto da mille persone che in piazza Garibaldi inneggiavano alla promozione in B. De Zerbi, ventiduenne di grandi speranze, era un prodotto della cantera milanista, cresciuto nello stesso spogliatoio di Baggio, Boban, Maldini e ovviamente Donadoni. Zaccheroni e Capello, due vangeli calcistici agli antipodi, convergevano su di lui: «Diventerà un campione». Ma la vita dei numeri dieci, si sa, trabocca di attese tradite, o solo rimandate. E infatti Lecco, quinta squadra a tentare il rilancio del talento, poteva considerarsi l’ultimo treno per De Zerbi e per chi ci aveva scommesso. Con l’ex bandiera milanista in panchina, la fiducia dei dirigenti rossoneri era in ripresa. Su quel ramo di lago, però, la situazione economica stava precipitando. Donadoni lamentò pubblicamente il ritardo nel pagamento degli stipendi, pur continuando a macinare punti (16 in 14 gare) e calcio promettente. La sconfitta in casa con l’Arezzo, inizio dicembre 2001, gli fu fatale. Al suo posto, arrivò Scanziani, poco amato dalla curva, che convinse patron Cimminelli a riprendersi Donadoni. Frattanto, però, s’era già consumato lo strappo con De Zerbi. Prima dell’esonero, infatti, il fantasista era stato già accantonato. Solo sette partite e poi l’oblio. «A dicembre era già fuori squadra da un pezzo – racconta Vittorio Galigani, all’epoca direttore generale del Foggia in C2 -. Fortunatamente in quella finestra di gennaio mi serviva proprio uno come lui, un mancino che giocasse dietro le punte». E fu così che il bresciano De Zerbi, senza pensarci un secondo, tornò in rossonero, ma dalle parti del Gargano. «Fu un matrimonio felice: per lui, che si rifece una vita calcistica, e per noi, che per due anni e mezzo, con 18 gol suoi, risolvemmo il problema dell’attacco». Foggia, poi, sarebbe stata per De Zerbi la prima squadra da allenatore professionista, con una promozione in B mancata in finale contro il Pisa di Gattuso, impresa che gli è valsa la chiamata di Zamparini e il debutto in A col Palermo. «Fu facile per il Foggia arrivare a De Zerbi – racconta ancora Galigani -. Io ero in ottimi rapporti con Braida e Robertino a Lecco era fuori dai giochi. Problemi di comprensione reciproca, credo. Donadoni gli chiedeva cose, in campo e nella disciplina, che lui non riusciva a dare. Succede». E spesso ci si riscrivono carriere. De Zerbi sarebbe stato poi adottato calcisticamente da Pasquale Marino (di qui la vocazione offensiva), incrociando Donadoni nel 2009 a Napoli: zero presenze, neanche in Coppitalia, e via di nuovo a gennaio, stavolta al Cluj, in Romania. Domenica al Dall’Ara il terzo tempo di questa sfida. Entrambi, il bergamasco e il bresciano, l’un contro l’altro armati dalle proprie panchine. Ma anche stavolta, dal suo penultimo posto, è De Zerbi che ha tutto da perdere”. Questo ciò che si legge sull’edizione odierna de “La Repubblica”.