Djokovic a casa prepara la rivincita: colpi di rabbia e maxi risarcimento
L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sulla questione Djokovic escluso dagli Open in Australia.
Era la notte dei tuffi nelle acque del Danubio, ieri, a Belgrado. È così che da secoli i cristiani ortodossi festeggiano l’arrivo dell’Epifania, che il loro calendario celebra oggi. Un salto nel fiume gelido ad aspettare che il cielo si apra e dio si mostri: sembra quasi una metafora del momento di Novak Djokovic.
Nella Belgrado che incorona i propri eroi dipingendo li sulle mura delle vie popolari, ogni piazza è il teatro in cui si manifesta il popolo di Djokovic. E quanto sia fresca la ferita dell’espulsione dall’Australia lo capisci parlando di lui per le strade schiarite dalle luminarie del Natale – qui lo hanno festeggiato il 7 gennaio – e tra i chioschi di vin brulé e cevapcici, le salsicce di manzo e agnello cotte in strada: «Melbourne? Gli australiani sono abituati ai canguri, che ne sanno del tennis» racconta Vanja mentre arrostisce hamburger.
«Lo hanno molestato, crocefisso», dice un ragazzo che porta in spalla una borsa da cui spuntano le impugnature di due racchette, «lo hanno trattato come un criminale». In un Paese diviso dal referendum per garantire più autonomia alla giustizia, che ha portato al voto meno di un terzo della popolazione, il popolo di Nole è compatto, solidissimo, un fronte quasi militare. dell’immigrazione. La premier Ana Brnabic alla Cnn lo difende: «Per me Djokovic non è un No Vax, ha fatto una scelta personale, non so perché non voglia vaccinarsi. Quando organizzò l’Adria Tour noi avevamo messo i vaccini a disposizione dei tennisti che non potevano vaccinarsi nei loro Paesi e Nole allora era favorevole alla possibilità di vaccinarsi per chi lo chiedeva».
Accanto al centro tennis, scorre quasi invisibile un vecchio binario morto: per Djokovic, la rappresentazione più concreta del rischio a cui abbia deciso di esporre la sua intera storia sportiva.