«I fatti sono quelli. E non sono pentito di averli raccontati. Ricordo tutto nei particolari. Per me è stato un episodio indimenticabile e non c’è nessun equivoco. Io non faccio illazioni. E non penso minimamente che il ministro Bonafede sia colluso con la mafia. Però è un fatto che abbia cambiato idea nel giro di 12 ore, tra un lunedì sera e un martedì mattina. E quel che non posso accettare, è che si metta in discussione la mia lealtà. a cittadino sarei preoccupato per un ministro che in un momento così delicato e con un magistrato così esposto si lasciasse convincere e tornasse indietro. Se chiamarmi e poi cambiare idea è stata una sua valutazione autonoma, non lo so. mica ho chiesto il perché. Non è mio costume chiedere niente ai politici». Così come quando lo contattò il ministro. «Una chiamata sul mio cellulare, anonima. Sono Alfonso Bonafede. Non ero mica stato io a chiamarlo. «Era un lunedì sera. Mi disse solo che avrebbe preferito avermi al Dap e di decidere presto perché dopo due giorni ci sarebbe stato un plenum del Csm, ancora nella vecchia formazione (era la consiliatura 2014-18 con la vicepresidenza Legnini, ndr), e se avessi scelto il Dap, avrebbero potuto deliberare in giornata di mettermi fuori ruolo. Perché sia avvenuto non lo so e non l’ho chiesto: se ci siano state pressioni politiche, se da parte di qualcuno dei miei colleghi o se da ambienti istituzionali. Cinquantasette boss al 41 bis del carcere dell’Aquila chiesero rapporto al magistrato di sorveglianza, per annunciare che se fosse passato Di Matteo al Dap, sarebbe esplosa la protesta. Mi chiamò un collega della Superprocura per chiedermi se dovevano rafforzare ancora la scorta. Oddio, no. A me già mi toglie il respiro come è ora. «Perché ci sono state centinaia di scarcerazioni di persone vicine a Cosa Nostra con la storia del contagio. Preoccupa solo me? Giletti mi ha chiesto di spiegare come funzionano le cose e io ho spiegato. Oltretutto, se sentivo di avere un debito di riservatezza con Basentini ora non ce l’ho più. E siccome il ministro ha scelto altre persone, non si può dire neanche che mi sto candidando. Una dinamica che ho visto molte volte con i collaboratori di giustizia. Finché parlano dettagliatamente di fatti criminali, tutto bene. Viceversa, tutto cambia quando alzano il tiro e chiamano in causa il potere. È successa la stessa cosa con me. Immediatamente si è pensato che io volessi avere chissà quale interesse politico. E’ andata bene, Nino, erano tutti dalla tua parte», gli ha spiegato la moglie. Ma lui, già in quel momento, non ha avuto dubbi: «Vedrai che tra due giorni la frittata si rivolta. Proprio lui che quando io portavo avanti l’indagine sulla trattativa Stato-mafia sosteneva che quel processo non andava fatto». Ha confidato ai suoi amici che non si meraviglierebbe persino che sia avviata una iniziativa disciplinare. «Ma li aspetto a pié fermo. Mi difenderò con il coltello tra i denti». Queste le parole del magistrato, Nino Di Matteo, rilasciate ai microfoni di “La Stampa” in merito alla diatriba con il Ministro Bonafede.