L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” riporta un’intervista ad Eusebio Di Francesco il quale si sofferma a parlare su vari temi, tra questi anche sul figlio Federico, oggi al Palermo.
Il campo è un tappeto meraviglioso e profumato ma la suola, che è quella dell’ex calciatore, individua un difetto impercettibile. «Scusate, è stato innaffiato?» chiede Eusebio Di Francesco a un magazziniere, poco prima dell’allenamento che è stato organizzato allo stadio Stirpe per la momentanea indisponibilità della cittadella di Ferentino. È l’attenzione al dettaglio di un uomo completo e compiuto, che ha assorbito i successi e soprattutto gli insuccessi per riempire il trolley delle conoscenze. Trascorriamo un paio d’ore insieme, tra un riso al curry e un caffè, in un’intervista che diventa uno scambio di idee sul calcio, sui progetti, sulla vita. A un certo punto Di Francesco, che non ama le derive del web, tira fuori un taccuino nero dentro al quale ha annotato appunti precisi su passato, presente e futuro: nomi di mercato raggiunti e mancati, discorsi motivazionali per la squadra, risposte per i giornalisti, riflessioni sul tema attualissimo della ludopatia. I suoi segreti sono nascosti là, dove la mente li va a cercare di tanto in tanto.
Eusebio, partiamo dalla domanda più scontata: perché siamo a Frosinone?
«Perché serviva un posto giusto per il mio anno zero. Qui ci sono le persone giuste, a cominciare dal direttore Angelozzi che mi conosce dai tempi del Sassuolo. Sono felice, finalmente. Non significa non percepire lo stress dell’obiettivo, per carità. Significa calarsi con naturalezza e spensieratezza nell’ambiente in cui si allena, seguendo valori condivisi».
Siete la prima squadra del Lazio per punti in classifica. Mica male come inizio.
«Siamo soddisfatti. Ed è bellissimo vedere la tifoseria entusiasta: mille persone ci seguiranno domenica a Bologna. Ma voglio che passi questo messaggio: umiltà e lavoro devono restare i punti fermi del nostro modo di ragionare. Altrimenti sarà impossibile centrare la prima storica salvezza del nostro club in Serie A».
Di Francesco, scusi: la rosa è piena di talento. Forse la salvezza è troppo poco.
«A inizio stagione nessuno lo pensava, però. Stiamo creando un bel gruppo e i risultati si vedono. Ma è solo l’inizio».
Che idea si è fatto, da allenatore e da padre di un calciatore, a proposito del caso scommesse?
«È una faccenda seria, sociale: i calciatori sono uomini, innanzi tutto. Quanto a Federico, gli ho sempre ricordato che ha avuto una grande fortuna a giocare a calcio. È un’occasione che non si può sprecare. Il risultato è che lui non sa nemmeno giocare a carte e preferisce leggere, cosa che mi rende molto felice. Ma bisogna anche fare un distinguo: non c’è niente di male ad andare al casinò una volta ogni tanto. L’ho fatto anche io. Il pericolo è additare dei ragazzi, dei professionisti, di una colpa che non hanno. Quindi stiamo attenti. Il problema è la ludopatia, non la partita a poker con gli amici».
Ha mai incontrato un suo calciatore che giocava?
«No. Almeno non ho mai avuto certezze in merito. Però un giorno feci un discorso nello spogliatoio perché mi erano arrivate delle voci. Urlai che se la partita fosse finita come si diceva in giro, avrei denunciato tutti. Invece è andata diversamente. È stata la prima e unica volta in cui sono stato contento di avere perso».
In conclusione, dove ci rivediamo nella prossima stagione?
«Non sono abituato a guardare così lontano, vivo il momento. Ma se tutto andrà bene sarò ancora qui. Ho detto scherzando al presidente che sono pronto a rimanere 10 anni, perché a Frosinone non manca niente».
Suona come una minaccia.
«No, è solo una promessa».