L’edizione odierna de “La Repubblica” riporta un’intervista a De Bellis, bandiera rosa, il quale si è espresso in merito al Palermo.
Una bandiera? Di più. Dei suoi «primi ottantacinque anni» (così li chiama), se si escludono tre al Venezia e un brevissimo periodo da tecnico a Messina, sessantacinque li ha vissuti a Palermo: da calciatore (undici stagioni, circa trecento partite, tre promozioni), allenatore delle giovanili, vice e di prima squadra, marito e padre. Tonino De Bellis, una leggenda vivente. Uno dei più fedeli giocatori di sempre, sicuramente il più amato assieme a Ghito Vernazza. Non per niente, erano amici. Altri tempi. «Un calcio che non esiste più. Nel 1957, fu il mitico Vilardo a scoprirmi. Primo ingaggio, 35mila lire, lo stipendio di un operaio».
La sua memoria non vacilla: indimenticabili le tre promozioni in A e la parentesi con la maglia del Venezia. «Dal ‘57 al ‘61, due imprese: la prima con Vycpalek, grazie anche ai 19 gol di Vernazza; la seconda con Baldi. La terza nel ‘67 con Di Bella. Quando mi dissero che sarei dovuto andare a Venezia, piansi. Mi ero appena fidanzato. Città incantevole Venezia, ma Giusy mi mancava. Tornato a Palermo mi sposai».
In campo, dimenticava tutto e puntava sempre l’avversario di turno. «Ero leale e deciso. Prima della partita non riuscivo a mangiare, l’ansia mi uccideva. Alla Favorita, tempestai un avversario, si chiamava Giuseppe Baldini, che era stato anche in nazionale. Giurò che si sarebbe vendicato e così fece: a Como mi ruppe la gamba con un intervento assassino. Ne porto ancora i segni. Mi piaceva Gigi Riva, un gladiatore, facevamo scintille. Contro di me non ha mai segnato».
Cinquantasette anni di matrimonio, tre figli: Manfredi, Flavio e Federica. Tra i ricordi più cari, Renzo Barbera e Casimiro Vizzini. «Come Barbera non ce ne saranno più anche se riconosco che debbo molto a Vizzini. Mi diede una compagnia di assicurazioni e il… futuro. Rimpianti? Dovevo andare all’Inter, passai anche le visite mediche, le società non si misero d’accordo Da tifoso, non mancava mai ad una partita. Un giorno però disse basta: «Mi tolsero la voglia di andare allo stadio. Un inserviente mi mise alla porta perché, in ritardo, non avevo biglietto e i botteghini erano chiusi. Del resto, Zamparini non aveva un’anima palermitana, non sono mai riuscito a capire se voleva bene a questi colori e alla città. Vendeva tutti i migliori ed erano tempi in cui gli stipendi si potevano pagare. Noi restavamo senza prendere una lira per sette mesi».
Ma al Palermo non si dice mai di no. «Lo seguo in televisione, ho vissuto la festa della promozione da casa. Una grande emozione che si unisce a quelle di quando giocavo. So cosa significhi vivere l’ambiente sportivo e scatenare la felicità della gente. E bisogna ringraziare soprattutto i giocatori: sono loro i protagonisti, in testa Brunori, che per fortuna è rimasto, e poi tuttigli altri artefici di un finale di stagione straordinario. Baldini è riuscito ad inculcare le sue idee ai ragazzi, quasi un plagio, una sorta di miracolo».
Tonino vede rosa. «Mirri? Lo conoscevo come leader nel campo della pubblicità, poi dopo il fallimento è riuscito nell’impresa di due promozioni in tre stagioni. Cosa vogliamo rimproverargli? Piuttosto, dovreste chiedere a mio figlio Flavio: erano compagni di classe, potrebbe dirvi più cose (ride, ndr). Il presidente ha fatto bene a cedere la società agli sceicchi che guidano una stella mondiale come il Manchester City. Sono felice per questo passaggio. Una holding che farà bene in una Palermo che scoppia di passione e chiede la serie A come un diritto. La risposta del Barbera è stata straordinaria e quando sei sostenuto da uno stadio intero che ti incita, non puoi non dare quello che hai dentro».
Il Palermo in A? «Vorrei esserci. Che facciano in fretta (sorride, ndr). Per i nuovi arrivati, non è una questione di quattrini ma di organizzazione, si tratta del resto di una società finanziaria famosa e solida. In teoria, potrebbero comprare chi vogliono e Palermo merita di stare accanto alle grandi e di risvegliare il Sud»