Dalla Panchina d’oro a Coverciano al trionfo in Prima Categoria in Sardegna. Cavasin, la nuova vita: «Bari sardo la mia vittoria»
L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” si sofferma sulla nuova vita di Cavasin.
Rimettersi in gioco e vincere come ai bei tempi della Serie A. Non importa se il Bari Sardo ha dominato solo nel girone C della Prima Categoria sarda. A 66 anni Alberto Cavasin, trevigiano, ha preso a schiaffi le convenzioni, accettando la scommessa del presidente Roberto Ibba, 54 anni, dinamico assicuratore a Cagliari con il pallino del calcio. Da arbitro a manager, ha vinto tanto partendo dalla sua Tortolì. Nel 2000 Cavasin s’era meritato la Panchina d’Oro in A per due salvezze consecutive con il Lecce, un’avventura da sogno nel Salento, la terra del sole, del mare e del vento. Vent’anni dopo ritrova le stesse sensazioni di allora nell’Ogliastra, lì dove la selvaggia natura sarda è più immacolata. E in un centro di 3500 abitanti nasce la sua ultima impresa. Il Bari Sardo, con 6 turni d’anticipo, è salito in Promozione: 20 vittorie e un pareggio, 108 gol fatti e solo nove subiti.
Ma com’è nata questa storia?
«Colpa del Covid. A giugno ho l’accordo per allenare il Congo, ma risulto positivo e salta l’appuntamento a Parigi. Amen».
Perché sceglie il Bari Sardo?
«Pensavo ad una consulenza, ma scopro un mondo antico e l’entusiasmo del presidente Ibba fa il resto. Soprattutto, però, la voglia di tornare sul campo».
Si è dovuto rimboccare le maniche.
«Certo, qui mi aiuta solo Alberto Possamai. Addio staff. In compenso la gente intorno a noi è meravigliosa».
Ci spieghi.
«Innanzitutto il gruppo dei ragazzi è stimolante. Per loro faccio tutto, anche il magazziniere. E cucino».
E in campo?
«Ci alleniamo 5 volte la settimana, gli avversari 3. Applichiamo un 4-2-3-1, ma soprattutto li maciniamo sul ritmo, nonostante tutti si chiudano a riccio per non farci segnare».
Che gruppo ha?
«In rosa ho 13 stranieri tra brasiliani, argentini, portoghesi e senegalesi. Un bel mix, con i nostri tre giovani locali».
Si ferma qui?
«Devo ringraziare mio figlio Andrea che mi ha spronato a fare questa scelta. Lo aspetto insieme a Dante, mio nipotino. Mi sento rinato: ha vinto la passione con la riscoperta del lato più bello del calcio».
Quale?
«Io avevo ormai le mie abitudini, avevo una dieta vegetariana. Nessuno mi faceva rinunciare alle mie idee. Invece in Ogliastra, con la storia dello spuntino…».
Cioè?
«In questi mesi ogni settimana uno dei nostri amici organizza una cena. Ovviamente si mangia solo maialetto e capretto. Senza parlare dei formaggi. Insomma, sono diventato carnivoro».
Ingrassato?
«Assolutamente no. Ogni mattina mi faccio un paio d’ore in bici sulla litoranea con uno splendido mare all’orizzonte. E quando posso mi concedo anche una corsetta sulla spiaggia davanti a casa, è davvero un’oasi. Anche quando vado al campo di allenamento spesso devo dare la precedenza al passaggio delle pecore, e a volte dei maialini».
E come va con i tifosi?
«Il nostro stadio è da 400 posti ed è sempre esaurito. Ma soprattutto è incredibile l’affetto della gente. Mi riempiono di regali: olio e tutti i prodotti della terra. Ti fanno sentire uno di loro, è una gioia immensa».
Da Bari Sardo come vede la Serie A?
«Forse ci sono stati campionati tecnicamente più importanti, ma questa volata per lo scudetto è elettrizzante. Prendiamoci il buono di quello che abbiamo. I nostri giovani sono in gamba e per me quello dei troppi stranieri è un falso problema».
In che senso?
«La polemica sui giocatori esteri c’è sempre stata e ormai tutti i campionati sono eterogenei come il nostro. Dobbiamo solo essere più bravi a valorizzare il nostro prodotto. Non deve abbatterci l’eliminazione dell’Italia dal Mondiale, sapremo risalire la china. Nel mio piccolo anch’io mi sono rimboccato le maniche e sono felice».