Dal mercato di Ballarò a Caracas la vita di Pamela dietro un pallone
L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma su Pamela Conti una palermitana alla guida del Venezuela.
Da Ballarò a Caracas, dalle corse dietro al pallone tra i banconi del mercato alla guida della nazionale di calcio femminile del Venezuela. Ne ha fatta di strada Pamela Conti, la ragazza palermitana con il vizio del gol. Un po’ Cassano, un po’ Balotelli. Una testa calda insomma, ma con la stoffa da fuoriclasse che si riconosceva già da bambina. «Sono cresciuta a pane e panelle e pallone», scherza Pamela Conti. Papà, zio e fratelli calciatori, il Dna a volte è un’equazione matematica. E a Ballarò, dove è nata, se ne sono accorti subito. «Pamela gioca con noi», non aveva neanche dieci anni e già i maschi del quartiere facevano a gara per averla in attacco. E finiva che la squadra di Pamela vinceva sempre e che a segnare i gol in rovesciata era lei.
Pamela numero 10 in una squadra di dieci maschi, Pamela unica femmina anche nei Rangers, il team che giocava al Papireto. «Se non gioca lei, non gioca nessuno» , i compagni di squadra la proteggono come una sorella e, a fine partita, attendono che Pamela finisca di cambiarsi fuori dagli spogliatoi per assicurarsi che nessuno alzi un dito sulla ragazza bionda. Capita che un arbitro si rifiuti di farla giocare e i Rangers non scendono in campo. Poi, arriva l’ok di Matarrese, l’allora presidente della Federazione italiana gioco calcio, e Pamela è l’unica femmina in tutta la Sicilia a giocare in una squadra interamente maschile.
La storia di Pamela Conti sarebbe già bella così, ma c’è molto altro. Casteldaccia, selezioni siciliane per la nazionale femminile Under 17, ne passa una su quaranta e quella scelta è Pamela. Si va a Coverciano, ne selezionano 23 e tra queste c’è Pamela. Si va in Danimarca a giocarsi gli Europei. L’Italia è medaglia d’argento e Pamela viene eletta migliore giocatrice dell’europeo. «Sei una testa calda, mi dicevano e in effetti non avevano torto. Non le mandavo a dire come Cassano e ne combinavo di tutti i colori» . Finisce su una rivista scandalistica islandese prima del match della nazionale a Reykjavík mentre indossa per scherzo in un negozio un vestito da crocerossina. Cose che un atleta, alla vigilia di una partita, non può fare. Ma Pamela, secondo il ct della nazionale femminile Sergio Vasta, è un fenomeno e con lei si chiude un occhio. Anche quando allo scalo dell’aeroporto di Amsterdam, la polizia la ferma bloccando tutta la squadra. « Un problema col passaporto scaduto – sorride – Ma lì per lì ho pensato: che è successo? Sarà per i biscotti che ho rubato?». La scalata calcistica di Pamela è all’inizio. Va in nazionale maggiore, per otto anni milita nella squadra più forte del campionato femminile, la Torres di Sassari. E lì è dura, Pamela non ha neanche 18 anni e viene catapultata in una realtà completamente diversa da quella a cui era abituata: «Mi mancava Ballarò, dovevo andare a scuola tutti i giorni. Io che a stento ci andavo a Palermo».
Pamela è diversa dagli altri, viene presa in giro: « Ho dovuto imparare l’italiano, conoscevo solo il dialetto e provavo a tradurlo in italiano. Un disastro, mi bullizzavano, ho sofferto molto». La rivincita arriva dopo 16 anni. A 39 anni, la Maradona di Ballarò torna alla Torres ma nel frattempo ha giocato in Spagna, in Russia e negli Stati Uniti. Il team sardo ha una gara in Russia e Pamela, la ragazzina presa in giro perché non parlava bene l’italiano, ormai sa il russo e fa da traduttrice alla squadra. «Parlo cinque lingue: l’inglese, il russo, il francese, lo spagnolo e un po’ di italiano » , scherza la calciatrice. La favola di Pamela non finisce neppure quando appende le scarpe al chiodo. Apre una scuola calcio a Palermo in via La Loggia, ma dopo quattro anni la vuole come allenatrice l’Atletico Madrid. Accetta e nel 2019 si cambia di nuovo. Arriva una chiamata da Caracas e Pamela fa il tris: commissario tecnico della nazionale femminile maggiore, della selezione Under 17 e direttrice tecnica della nazionale Under 20. Adesso Conti si sente finalmente a casa. « Il Venezuela è come la Sicilia, i venezuelani sono come i siciliani e Caracas è una grande Ballarò: nessuna regola, solo confusione e allegria. È un posto dove potrei vivere anche a lungo – racconta la calciatrice – Quando posso mi inoltro nei quartieri proibiti della città, come 23 de Enero e Petare. Fanno paura a tutti gli europei, ma non a me. Lo dico sempre: io sono di Ballarò».