Crisi Ucraina, Polonia irremovibile: «Non andremo ai playoff a Mosca»
L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” si sofferma sulla crisi in Ucraina che mette paura anche al mondo del calcio.
L’appuntamento è in programma per sabato pomeriggio all’Oblasny Sport Komplex Metalist di Kharkiv, ore 16 italiane. Lo Shakhtar Donetsk, club simbolo del Donbass, la regione, assieme a quella di Lugansk, oggi sotto i riflettori di tutto il mondo per l’invasione russa, dovrebbe scendere in campo contro il Metalist per la ripresa del campionato ucraino, dopo la lunga pausa invernale. A Kiev e dintorni non si gioca dal 12 dicembre e in questo weekend è prevista la giornata numero 19 delle trenta della Prem’jer-liha. Lo Shakhtar è in testa a 47 punti, inseguito dalla Dinamo Kiev a 45. Ma la situazione è in continuo aggiornamento. Sabato a Kharkiv, città da un milione e 400 mila abitanti circa, a 45 km dal confine russo della provincia di Belgorod, con lo Shakhtar ci sarà una piccola ma significativa rappresentativa di italiani: il tecnico bresciano Roberto De Zerbi, 42 anni, in Ucraina dallo scorso maggio, e i suoi otto collaboratori dello staff.
Il Ministero degli Esteri italiano ha invitato i nostri concittadini a lasciare il Paese. Ma il gruppo di italiani a lavoro con i Minatori (questo significa Shakhtar) in “arancio e nero” non ha desistito dai propri impegni. Sono stati in Turchia in ritiro a Belek, sul Mediterraneo, al caldo per due settimane. Sono rientrati il 20 febbraio in Ucraina, come promesso, con base a Kiev, e attendono di andare a Kharkiv, domani. Donetsk, culla dello Shakhtar, ormai non ospita più match da quasi otto anni nella sua Donbass Arena da oltre 50 mila spettatori e inaugurata nel 2009. Da quando i russi invasero la penisola di Crimea nel febbraio del 2014. E i separatisti ucraini ma filorussi si impossessarono ad aprile di quell’anno delle autoproclamate Repubbliche di Lugansk e di Donetsk. Ma De Zerbi e i suoi uomini sperano che il calcio, lo sport in genere, raffreddi gli animi. Si augurano che il loro match al confine russo serva come gesto di distensione, come diplomazia sportiva appunto. Un gesto di tregua, di speranza, di pace. Come la diplomazia del ping pong degli Anni 70 avvicinò Cina e Usa.