Andrea Crisanti, direttore del Laboratorio di Microbiologia di Padova, ha voluto commentare la situazione che c’è in Italia per l’emergenza Coronavirus. Il virologo ha voluto dare la sua opinione ai microfoni di Open, di seguito l’intervista:
Professor Crisanti, diverse settimane fa, lei aveva già avanzato l’ipotesi di un nuovo lockdown nazionale proprio durante il periodo delle festività. La sua idea non è stata accolta con molto “calore”, ma ora sembra sempre più uno scenario verosimile e ineludibile. Non è un po’ tardi?
«Non è mai troppo tardi per cercare di fermare i contagi e i ritardi».
Per spezzare la catena, ora, cosa bisognerebbe fare?
«Penso si dovrebbero applicare misure molto simili a quelle che hanno avuto effetto in Lombardia, cioè le misure della zona rossa. Quella potrebbe essere la strada da seguire, anche applicandola in tutta Italia».
Una scelta del genere non creerebbe nuovamente tensioni e disordini in alcune zone d’Italia, in particolare quelle con una bassa densità di popolazione e/o una bassa incidenza di casi?
«Bisognerebbe capire che da questa situazione se ne esce insieme, non in ordine sparso».
Quindi lei ripristinerebbe la zona rossa in tutte le regioni italiane? Insomma, un nuovo lockdown generalizzato.
«Sì, perché questo è l’unico modo con cui si fermano i contagi. Altrimenti non si fermano. Le festività sono un’occasione fantastica. Siamo tutti quanti in famiglia, le scuole sono chiuse, molte persone sono in ferie: sarebbe il momento ideale. Le persone, però, dovrebbero cercare di muoversi un po’ meno».
Le immagini dei giorni scorsi dalle zone gialle e arancioni fotografano però una situazione più movimentata.
«Io quella gente la capisco pure, non ne può più. Il problema non sono quelle immagini, non sono quelle persone».
Quindi il vero problema qual è?
«Il vero problema è che non abbiamo ancora un sistema di sorveglianza per bloccare le catene di contagio, perché l’epidemia non si blocca solo con le mascherine e con il distanziamento».
Manca quindi un piano…
«E certo. Manca un piano di sorveglianza che permetta, una volta finito il lockdown, di mantenere i casi a livelli bassissimi, se non addirittura eliminarli. Questo manca».
Ma com’è possibile che in 9 mesi di pandemia non sia stato sviluppato questo piano di sorveglianza nazionale?
«Si sono spesi miliardi di euro per questo cashback. Questi soldi non potevano davvero esser spesi per proteggere l’Italia?».
Secondo lei, quindi, alcuni investimenti sono andati in iniziative non prioritarie?
«Non discuto dell’eventuale utilità della misura o della sua eventuale priorità, perché si tratta di una scelta politica ed economica. Però non bisognava trascurare la realizzazione di questo piano sul fronte medico-sanitario».
A prescindere dallo schieramento, non pensa che la comunicazione politica del Paese (in generale, non solo quella dell’esecutivo o solo delle opposizioni) abbia inciso nel creare confusione nelle persone?
«Guardi, senza fare distinzioni politiche, penso che si siano vendute false speranze. Fondamentalmente si è intercettato il desiderio della gente di uscire da questa cosa e di liberarsi dell’incubo, in un modo e nell’altro. In qualsiasi caso, e a prescindere da tutto, non è che da questa situazione se ne uscirà con le chiacchiere».