“«Mister, mi auguro di vederti all’Olimpico per Roma-Trapani», il saluto di Kim Rossi Stuart, impegnato a girare un film da queste parti che ha dovuto far ricorso al fisioterapista della società, perchè gli si era bloccata la schiena. Serse Cosmi incassa con un sorriso. «Sarebbe un sogno, poi la Roma…». E’ pronto per l’allenamento, anche i tifosi sono pronti. Aprono i cancelli della curva, entrano in cento, forse più, preferiscono il Trapani alla spiaggia di San Giuliano, il lido dei trapanesi che ha già aperto all’estate. La gente di qui non ha mai vissuto niente di simile. Non chiede niente e sogna. Prima della partita con lo Spezia i tifosi hanno riempito la curva e hanno organizzato una festa per ringraziare la squadra dell’accesso ai play off e ora che la serie A è a un passo (anzi, due) faranno la fila per acquistare i pochi biglietti disponibili. Allo stadio provinciale entrano settemila spettatori, molti resteranno fuori, magari con il naso all’insù verso un display. Serse Cosmi si accomoda su una sedia in una saletta vuota dello spogliatoio, mentre i giocatori si stanno preparando per l’allenamento. Si aspettava di giocarsi la serie A con il Pescara? «Per i valori espressi, la finale la disputano le due squadre che hanno meritato. Il Pescara ha giovani interessanti, le sei squadre impegnate nei play off sono assolutamente competitive». Come si affronta la finale? «I play off sono un altro campionato. Poteva esserci la paura che non capissimo la lettura dei play off e invece siamo stati capaci di cambiare pelle dal punto di vista mentale e tattico. Lo scenario è completamente diverso. Ora l’unica cosa che conta è ottenere il risultato finale. Ci arriviamo con il ventesimo budget della B. Un orgoglio. A gennaio sono arrivati Petkovic, De Cenco e Nizzetto e ci hanno dato una mano. Il croato ha avuto un impatto enorme sulla nostra squadra. Al di là delle qualità avevamo bisogno di un giocatore con quelle caratteristiche. Ricorda Ibrahimovic, è alto 1,92, ha velocità di gambe pur essendo molto alto. Ha fatto sette gol e tanti assist. Bruno è un ‘94 con un carattere difficile. Non ho mai creduto alla gestione dei giocatori affidata solo all’allenatore. I caratteri difficili li deve gestire lo spogliatoio. I più esperti lo hanno responsabilizzato senza litigarci. Da quando insegnavo attività motorie alle scuole elementari ho capito che è fondamentale responsabilizzare anche i bambini». Lei avrebbe scommesso sul suo rilancio? «Vivevo per tornare a certi livelli. Il calcio è una centrifuga incredibile, quello che hai fatto un mese fa non conta più niente. Le stagioni di Lecce e Siena hanno avuto letture inquinate, avevo fatto bene. Lo stesso Pescara quando lo presi rischiava la retrocessione e ci salvammo. Poi la società ha fatto altre scelte, ma sono rimasto in buoni rapporti, anche con i tifosi. Anche qui non è stata data importanza alla salvezza dello scorso anno. Ma è stato quello il vero punto di partenza per l’annata attuale. Ho sempre creduto che la mia passione e l’amore per il mio lavoro sarebbero stati premiati e sarei tornato ad avere soddisfazioni». Ha seguito degli esempi? «Non ho mai idolatrato nessuno. Ora va di moda il cholismo. Non mi sono mai affidato a una linea di pensiero, il calcio ha tanti risvolti ma parte da cose semplici. Il dramma del calcio attuale è che quando qualcuno ha ottenuto risultati con una sua filosofia tanti si sono accodati. Io non l’ho mai fatto. E’ successo da Sacchi a Guardiola, da Trapattoni e adesso a Simeone. Questo è un limite per un allenatore, che deve avere la sua personalità. Ma non ho più visto una squadra giocare come il Milan di Sacchi e neppure come il Barcellona di Guardiola. Mi viene da sorridere quando sento colleghi che si dicono propositivi come se fosse una qualità unica. Io uso un termine che insegnano a Coverciano. L’equilibrio. Che ho cercato nel calcio e che forse non sono riuscito ad avere nella mia vita. Equilibrio è la capacità di stare sul filo. Non solo tattico, ma di comportamenti, di caratteristiche. Con equilibrio abbiamo centrato questi record, 16 risultati utili con 12 vittorie, 8 di fila, eguagliando il record della Juve». Per il Trapani comunque vada sarà un successo. Può essere un limite? «Conoscendomi vedo solo una soluzione che possa appagarmi: andare in A. Il merito enorme di questa squadra è stato quello di alzare l’asticella. Potevamo essere quelli che avevano fatto bene comunque. Ma l’obiettivo ora diventa quello. Ci crediamo, con una squadra che ha solo due giocatori che conoscono la A, Barillà e Ciaramitaro. Cambiare la mentalità è stato il vero capolavoro di questa squadra. Ora non ci accontentiamo più». Il Pescara sulla sua strada. Uno strano scherzo del destino. «Oddo ha smesso di giocare con me, a Lecce. Io sono il più anziano della B, lui tra i più giovani. Ha una grande qualità: la personalità, fondamentale per un allenatore. In campo era attento alle situazioni tattiche, per me non è una sorpresa. Deve fare esperienza. Se con il tempo sarà leggermente meno propositivo diventerà un grande allenatore». Ci parli del Trapani. «Ha una dimensione familiare. Il presidente e la moglie sono persone serie e semplici. Faggiano ha dimostrato da tempo le sue qualità. Mi ricorda Sabatini. La gente ha un senso di appartenenza incredibile, mi sembra di vivere qui da una vita. Io ho un limite: devo sentirmi amato, non stimato. Quando vivo questa condizione riesco a dare di più». Il suo futuro. «Sono in scadenza e ancora non abbiamo mai parlato. Lo faremo. Prima voglio realizzare un’impresa, che andrebbe oltre quelle del Carpi, del Crotone e che avvicinerebbe il Trapani al Leicester di Ranieri. Portare questa città in A significherebbe far scoprire gente e posti fantastici»”. Questo ciò che si legge sull’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport”.