L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sulla sentenza della Corte UE e la Superlega.
«Illegali». È l’aggettivo che Francois Biltgen, presidente della settima camera della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ha pronunciato con gli occhi del mondo puntati addosso mentre i suoi guardavano a favore di telecamera. Come a voler rafforzare il concetto: «Le regole della Fifa e della Uefa che subordinano qualsiasi nuovo progetto alla loro preventiva approvazione sono illegali». Pausa. Respiro. Fiato sospeso. E ancora: «Illegali perché limitano la concorrenza e sono contrarie ai trattati e ai regolamenti dell’Unione Europea». Ore 9.46 del 21 dicembre 2023: il botto di Natale è arrivato in anticipo e ha colpito alle fondamenta un sistema capace di autoregolarsi senza intoppi per quasi 70 anni.
STUPORE. A Nyon hanno vissuto attimi di terrore, poi hanno difeso lo status quo con la voce ferma del presidente Ceferin: «Il calcio non è in vendita! – ha tuonato – O siete con noi, o siete contro di noi». Non il massimo della diplomazia in un momento di forte tensione. A Madrid, viceversa, hanno stappato il miglior champagne presente nel frigo della sede della A22 Sport Management, la società che ha perseguito la strada della Superlega nonostante sia stata considerata per lunghi periodi in salita. «Ora siamo liberi!» ha esultato poco dopo Reichart, l’amministratore delegato di questa società che per mission si occupa di sviluppo commerciale dello sport, trainata da Real Madrid, Barcellona e fino a poco tempo fa dalla Juve che fu di Agnelli. Era nell’aria un vento nuovo, dalla Corte ci si aspettava una piccola apertura, e invece i cosiddetti “ribelli” si sono trovati davanti una voragine figlia di un pronunciamento che può sconvolgere gli equilibri internazionali come fece la sentenza Bosman togliendo il limite di comunitari nelle rose. Lo stesso avvocato, Dupont, che nel 1995 seguì l’atleta belga, ieri ha vinto un’altra battaglia legale contro le istituzioni del calcio, stavolta coadiuvato dallo studio Clifford Chance. Dieci minuti dopo la pubblicazione del dispositivo, la A22 ha annunciato il format del nuovo torneo che spieghiamo in altra parte del giornale.
La sentenza fa giurisprudenza poiché stabilisce che le istituzioni hanno creato un monopolio senza averne il diritto, come non lo avrebbero nel sanzionare i dissidenti. Secondo i 15 giudici della Corte UE «le norme relative allo sfruttamento dei diritti mediatici arrecano danno ai club, a tutte le società operanti nei mercati dei media e, in ultima analisi, ai consumatori e ai telespettatori, impedendo loro di godere di competizioni nuove e potenzialmente innovative o interessanti». La gestione dei soldi è centrale in questa vicenda: le big del calcio, indebitate fino al collo, ne vogliono sempre di più per far fronte alle spese e non accettano l’intermediazione di un organismo terzo come Uefa, che legittimamente trattiene per sé una parte dei ricavi. Nonostante la SuperChampions sia stata un tentativo di scendere a compromessi per evitare lo scontro, la miccia della Superlega era stata accesa e ieri è divampata come un fuoco. La Corte ha osservato infatti che l’organizzazione di tornei e lo sfruttamento dei diritti relativi alle coppe sono «attività economiche». E come tali, «devono rispettare le regole della concorrenza e la libertà di circolazione, anche se l’esercizio economico dello sport presenta alcune specifiche». La natura stessa delle confederazioni – oggi regolatori, organizzatori e legislatori – genera «il rischio di conflitto di interessi» che «deve essere soggetto a criteri idonei a garantirne la trasparenza, l’obiettività, la non discriminazione e la proporzionalità».
Ma Uefa e Fifa, sempre secondo i giudici, «non sono soggetti ad alcun criterio di questo tipo» e quindi «abusano di una posizione dominante». A Lussemburgo, nella sede con le tre torri intitolate a Rocca, Montesquieu e Comenius, hanno pronunciato parole pesanti come macigni, per di più inappellabili. Smentito, tra l’altro, il parere dell’avvocatura (succede raramente) a firma del greco Rantos, che citando l’articolo 165 del trattato di funzionamento dell’UE poneva l’esistenza del modello sportivo europeo come presupposto per una struttura piramidale tale da non far entrare in conflitto la commercializzazione e la gestione del potere. Tutto sbagliato. Tutto da rifare?