Corriere dello Sport: “Trajkovski: «Italia, pensa se ne segno un altro. Palermo? Il club ora è forte, hanno grandi possibilità di tornare in Serie A»”

L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma su Macedonia-Italia in programma domani e riporta le parole di Trajkovski.

Mica ci fai un altro scherzo? Alle dieci di sera, dal quartier generale fissato all’Hilton di Skopje, risponde con un sorriso. «Quel gol non era uno scherzo, ma una cosa troppo importante per noi. Spero di segnarne un altro, se possibile. Anzi, avvicinandosi la partita con l’Italia, l’ho rivisto più volte negli ultimi giorni. Volevo caricarmi. Le immagini, anche adesso che ne parlo, mi fanno venire i brividi». Il demone si chiama Alexander Trajkovski, 31 anni e un incubo che ancora ci scuote rivivendo quegli attimi. La faccia impietrita di Mancini, il gelo del Barbera a un soffio dai supplementari. Destro assassino, infilando lo spiraglio per battere Donnarumma dai 25 metri, nell’unica occasione possibile di una partita senza precedenti: un gol assurdo, nato dal lancio lunghissimo di Dimitrievski, il portiere. Il nome di Trajkovski è entrato nell’eternità della Macedonia e nella storia dei fallimenti azzurri. Ci ha buttato fuori dal Mondiale in Qatar ma non fa il dentista come Pak Doo ik, il coreano che ci eliminò nel 1966 in Inghilterra. Sono passati 17 mesi dal 24 marzo 2022. L’incrocio con il destino a Palermo: 113 presenze e 20 gol tra il 2015 e il 2019 in Serie A e B. Alexander ha girato il mondo. Waregem in Belgio e Maiorca in Spagna prima di tentare l’avventura nella Saudi League, 37 presenze e 6 gol con gli arabi dell’Al-Fayha. Contratto scaduto, ora è svincolato, cerca un nuovo club, ma resta una delle stelle della Macedonia (83 presenze, 21 reti). Domani sera a Skopje ce lo ritroveremo di nuovo contro.

Ripartiamo da quella notte. Non è stato bello eliminare l’Italia.
«So quanto pesava quel gol, non capita spesso di segnare un gol così importante, ma valeva tanto anche per noi. Significava finale. Un traguardo indescribile, non potete capire quanto ha festeggiato il nostro popolo, non eravamo mai stati così vicini a un Mondiale. Grandissima vittoria. Un evento da ricordare. Eravamo riusciti a battere la Germania fuori casa prima dell’Europeo, ma con l’Italia ci siamo superati».

Almeno fosse servito per portarvi al Mondiale.
«Peccato per la stanchezza. Giocare fuori casa con il Portogallo, dopo tre giorni soltanto, era troppo per le nostre possibilità. Eliminare gli azzurri e anche Ronaldo in 72 ore, per una nazionale come la nostra, era impossibile. Mi rimane la soddisfazione. Il gol più importante della mia carriera non si cancella, resterà sempre con me.

Come Pak Doo Ik.
«Sì, lo so chi era il coreano. Ho giocato in Italia, conosco la storia. Pensate se ne segnassi un altro…».

Ci racconti quella notte. Le è mai capitato di riparlarne con gli azzurri?
«Dopo la partita, mi ritrovai al controllo antidoping con Florenzi e Berardi. Erano delusi. Normale. Parlammo un po’, cercai di consolarli. L’Italia avrebbe dovuto approfittare delle tante occasioni create. Nel calcio succede. Noi dovevamo difenderci e sperare andasse come è andata. Il gol, voglio sottolinearlo, era regolare. Bastoni alzò il braccio un attimo prima del tiro. Jorginho guardò l’arbitro, sperava lo annullasse, ma io non avevo toccato la palla con la mano come pensavano gli azzurri. La partita stava finendo. Mi sono detto “provaci”. Ogni giocatore conosce le proprie qualità, ho un buon tiro da fuori, non avevo altre possibilità. E’ andata bene…».

Forse Mancini si sarebbe dovuto dimettere quella sera e non venti giorni fa. Che ne pensa?
«Sono rimasto sorpreso. All’epoca avvertiva la fiducia per andare avanti, non so e non conosco bene la situazione, ma certe sconfitte lasciano il segno. Non andare al Mondiale per due volte di fila ha un peso per l’Italia. Dal nostro punto di vista, Spalletti porterà qualcosa di diverso. Ogni nuovo allenatore cambia e si presenta con un altro tipo di gioco. Ho immaginato subito che potesse essere uno dei candidati, vi serviva una guida forte, sappiamo cosa ha fatto con il Napoli. Troveremo gli azzurri motivati. E poi cercate la rivincita dopo quasi due anni».

Non sembra la stessa Macedonia di Palermo. Milevski contestato dopo il tonfo (0-7) di Wembley a giugno.
«Siamo gli stessi giocatori. Dipende dalla forma, dalla condizione in cui ti presenti quando vai in Nazionale. Noi dobbiamo dimenticare la partita di Londra. Per 30-35 minuti avevamo retto. Preso il primo gol, siamo franati. Tanti errori, contro una squadra forte come l’Inghilterra, non li puoi concedere. Impareremo dalla lezione, mi auguro».
Che partita sarà con l’Italia?
«Noi siamo pronti, possiamo solo cercare di non ripetere gli stessi errori di Wembley. Sarà dura per noi e anche per gli azzurri, giochiamo a casa nostra, lo stadio pieno, non possiamo fare brutte figure. Sappiamo che l’Italia è forte, ma nel calcio succedono le cose che nessuno si aspetta».

Ha saltato la preparazione. Come sta?
«Non è facile allenarsi in solitudine, ma ho lavorato forte, mi sono preparato bene, aspettavo settembre e le partite europee con Italia e Malta. Queste due partite spero mi aiutino a trovare un club. Qualcosa c’è, ma le proposte ricevute tra luglio e agosto non mi convincevano e ho preferito aspettare».

Tornare in Italia? Palermo, lo sappiamo, è ancora nel suo cuore.
«Sì, mi piacerebbe, ma lo status di extracomunitario non aiuta. Ho ricordi splendidi di Palermo e tanti amici. Ci sono tornato in vacanza all’inizio dell’estate. Ho avvertito l’affetto dei tifosi e della gente. Il club ora è forte, hanno grandi possibilità di tornare in Serie A. Faccio il tifo da lontano per i rosanero».

Ci racconti l’Arabia Saudita.
«Sono stato un anno e mezzo, è scaduto il contratto, ho parlato con qualche club, ma non ne abbiamo fatto di niente, ora è difficile tornare. Hanno un progetto immenso, puntano solo i top player. Quando è arrivato Ronaldo, mi sono insospettito. Poi l’ho capito ancora meglio. Verranno altri giocatori forti, alzeranno il livello del campionato. Aumenterà l’interesse, non solo per un fattore economico. Si guadagna bene, ok. Presto in tanti vorranno andarci perché la Saudi League diventerà competitiva come una lega europea».

Vale la pena lasciare l’Europa per essere prigionieri di un contratto?
«Non è una vita facile, soprattutto d’estate. Gli arabi vivono di notte, i ristoranti sono pieni sino all’alba. Di giorno non si può uscire, fa troppo caldo, ti alleni di sera. E’ una vita capovolta per diversi mesi, la vita normale si fa solo a gennaio e febbraio, cambiano gli orari. Meglio le grandi città come Riyad e Gedda, perché c’è tutto. Poi dipende dove sei e che lavoro fai, ma per i calciatori va bene anche così».