Corriere dello Sport: “Torino, 11 metri di terrore. In A in questa stagione sbagliato 1 rigore su 3, la percentuale (30%) più alta degli ultimi 5 anni”
“Calcio di terrore. In serie A quest’anno, sbagliato un rigore su tre. Non aprite quella porta. Appunto: provaci, se ci riesci. Nino è già oltre la paura, se la fa sotto. Rigoristi, vil razza dannata. Presentarsi sul dischetto, oggi è quasi sempre una pena da scontare, talvolta si rivela una condanna, raramente una gioia. Portieri più bravi o rigoristi più brocchi? La porta è sempre quella: metri 7,32 x 2,44. La distanza immutata, nei secoli dei secoli: 11 metri, le 12 yards inglesi che risalgono alla notte dei tempi, quando la norma del rigore fu approvata dall’International Board (1891). E però: Belotti ne ha sbagliati tre (su quattro tirati), Dzeko, Niang, Ilicic, e Caprari hanno tutti toppato due volte (su tre). Avanti: al Toro stanno pensando di presentarsi sul dischetto di spalle e tirarli di tacco, così facendo la percentuale attuale (4 gol su 9 tentativi) può solo migliorare, a Pescara non è gesso quello sul dischetto, ma colla vinilica. Si spiegano solo così i due soli gol su sette tentativi. Con Memushaj che ha voluto esagerare. Due rigori, due errori. Da noi ha fatto storia Evaristo Beccalossi, che ne sbagliò due nella stessa partita – Inter-Slovan Bratislava di Coppa Uefa – tanto da meritarsi un pezzo teatrale di Paolo Rossi, dall’inequivocabile titolo: «Si fa presto a dire pirla». Appunto.
SBAGLIARE, OH OH. Svariati i motivi dell’errore. Il primo: i portieri sono più grandi e più grossi, coprono di più la visuale, vedi alla voce Donnarumma, che quest’anno ne ha parati quattro (Berardi, Ljajic, Ilicic e l’immancabile Belotti). Il secondo: tutti sanno tutto di tutti. Si studia, ci si aggiorna, vai col rewind che voglio vedere come prende la rincorsa, dove guarda, che postura tiene prima del tiro. Ogni movimento è un indizio. Il terzo: la tecnica di base del calciatore 2.0 è più mediocre rispetto al passato. Il rigore è il momento in cui i due fidanzati – piede e pallone – si trovano soli sul divano. Se sei impacciato e goffo, insomma se non ti sei allenato prima da solo è dura sfangarla. Rischi la figura barbina. Piedi più grezzi rispetto al passato? Sì. Per dire: lo «sciagurato» Calloni, che nella memoria collettiva è uno che sbagliava i gol a porta vuota con l’ostinazione di un mormone fanatico, beh, dal dischetto ha una percentuale di tutto rispetto: 11 centri su 12. Percentuali dei campioni del passato: Van Basten (92%, 24/26), Maradona (88%, 30/34), Baggio (87%, 57/65), Signori (84%, 44/52), Di Bartolomei (90%, 18/20).
EL GATO E IL KARMA. Oggi siamo ai minimi storici. Abbiamo una media di errore (30%), che è la più alta degli ultimi anni. Sarebbe miope considerare il rigore un azzardo. O la va o la spacca. Mica vero. Per segnare ci vuole abilità, sangue freddo, piede educato. Poca ispirazione, molta sudorazione. E’ una guerra psicologica tra due eserciti composti da un solo soldato, a undici metri di distanza. Vale qui la pena riportare un passo de «Il rigore più lungo del mondo», di Osvaldo Soriano, forse il più grande narratore di calcio in prosa. «(…) El Gato Diaz rimase tutta la sera senza parlare, gettando all’indietro i capelli bianchi e duri finché, dopo mangiato, si infilò lo stuzzicadenti in bocca e disse: «Constante li tira a destra». «Sempre», disse il presidente della squadra. «Ma lui sa che io so». «Allora siamo fregati». «Sì, ma io so che lui sa». «Allora buttati subito a sinistra!», disse uno di quelli che erano seduti a tavola. «No, lui sa che io so che lui sa», disse El Gato Diaz, e si alzò per andare a dormire». Buonanotte ai tiratori, dunque. Vale la pena tenere a mente il segreto per calciare bene i rigori: karma e gesso (quello del dischetto)“. Questo quanto si legge nell’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport”.