L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sul pallone d’oro vinto da Messi.
Leo Messi ha sempre quell’espressione un po’ così, sia che vinca il Pallone d’oro per la settima volta, sia che esca dal campo sostituito da Mauricio Pochettino. Incredula. E figuriamoci noi. Sì, è il G.O.A.T., the Greatest Of All Time, la “capra” (ricordate la baruffa del 2018 con Cristiano Ronaldo?) più premiata della storia del calcio. Lo testimonia il petto onusto di medaglie e nastrini come un generale sovietico della Seconda Guerra Mondiale. Non sono in discussione la classe, la tecnica, la bravura della pulce più carnivora del pianeta calcistico. Lo è un premio che, negli anni, è diventato un carrozzone. Fino al primo decennio del Terzo Millennio era un rito officiato in modo laico e sobrio, ora è una questione di spettacolo, di sponsor, di business. In discussione è anche il nostro modo di approcciarlo. Ne cominciamo a parlare mesi prima, ne chiediamo conto ai giocatori e molti neanche capiscono di cosa stiamo parlando.
Dovremmo darci una regolata, anche perché, ogni anno siamo irritati dai risultati. Dal 2008, Messi l’ha ottenuto sette volte e Cristiano Ronaldo cinque. Luka Modric si è inserito nella disputa nel 2018 mentre nel 2020 il Balon d’or non è stato assegnato. E questa è proprio bella. Quello francese è stato l’unico grande campionato europeo cancellato dal Covid, mentre tutto il resto è andato avanti. Ma siccome loro avevano deciso che non era calcio vero, niente. Così Robert Lewandowski potenziale campione del 2020, è finito a fare il paggetto di Messi nel 2021.