Corriere dello Sport: “Silva si racconta: «La mia infanzia tra papà e fratello Luis e partitelle giocate per strada…»”

Attraverso le colonne de “Il Corriere dello Sport” Stefan SIlva si racconta a 360°, iniziando a parlare della famiglia e della propria infanzia. Ecco le sue parole: “LA FAMIGLIA. «Mio padre Luis ha cinquantatré anni ed è stato al mio fianco come genitore, compagno di giochi, istruttore, fin dalla nascita, anche lui calciatore sia pure dilettante. Fa il maestro di sostegno in una scuola, come mia sorella Jennifer, la più piccola e coccolata. Mamma si chiama Maritza e due suoi fratelli sono stati calciatori professionisti negli anni Ottanta, Juan e Carlos Rojas, famoso soprattutto Juan, nazionale, Coppa America e giocatore dell’anno nel suo palmares. In un ambiente del genere che cosa avrei potuto fare se non il calciatore? È anche vero che papà mi faceva provare un sacco di altri sport dal tennis al pugilato, però il calcio mi affascinava e andavo a giocare con mio fratello Luis, che oggi lavora nel settore edile, pur essendo il più piccolo e non solo d’età. Jennifer è sposata e ha una bimba di due anni, Yamila. Luis papà, Luis il fratello, i miei genitori ci tengono. Il problema è quando siamo insieme. Allora, li chiamo con l’eco “fratellooo…” e “padreee…”. Mamma è la regista di casa, ama le foto ed è sempre pronta: Dai, mettiti in posa, facciamo un selfie.  Papà si nasconde». LA MIA INFANZIA. «Sono cresciuto a Rissne, un posto straordinario per maturare esperienza a dieci minuti dal centro di Stoccolma. Può sembrare un ghetto, incontri bambini che hanno problemi, alcuni studiano, molti giocano a calcio nelle strade da mattina a sera, in cerca di futuro. Un ambiente misto, con tanti stranieri emigrati, come noi, ma si vi bene fianco a fianco. Io ero di quelli che preferiva correre dietro ad una palla, con Luis, fino a quando mia madre non veniva a prenderci. Non ho mai pensato ad altro. Malgrado tutto sono arrivato in ritardo. Ero considerato un vero talento, poi verso i diciotto anni la fiamma si è come spenta. Subentravano forti dubbi, non davo più il giusto peso agli allenamenti, insomma il calcio non era più al centro dei miei interessi. Non ho mai smesso, ma preferivo vivere la vita e ho impiegato del tempo per ritrovare la passione grazie all’aiuto della famiglia. Il rapporto con il tecnico Kim Bergstrand? Di amore e odio. È stato il mio allenatore da quando avevo quindici anni, la storia cominciò bene. Poi mi negò un posto in prima squadra nel BP. Illuso e abbandonato. Però, credeva in me e mi riprese nel Sirius. Grazie a lui è cominciata la mia ascesa nel calcio svedese e ho realizzato tanti gol approdando in Allsvenskan. Dunque, posso solo ringraziarlo»”.

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Redazione Ilovepalermocalcio