L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sulla riforma dei campionati in particolar modo quello di C.
Francesco Ghirelli ama descrivere la sua Serie C come una «fabbrica dei sogni» dove può essere costruito il futuro del movimento. Ma siccome ogni cosa nel calcio sembra essere «parte del tutto», nessuna delle componenti del sistema è un’isola. Dalla burrasca – leggasi pandemia, crisi economica, esclusione da Qatar 2022 – ci si salva soltanto remando nella stessa direzione, superando quella che il presidente della Lega Pro definisce «la visione miope» di alcuni dirigenti. Perché, spiega, «senza una vera riforma non saremo mai competitivi a livello europeo e mondiale».
Presidente Ghirelli, oggi cosa rappresenta la Serie C? «La storia dei comuni d’Italia, la fabbrica dei sogni. Il prossimo campionato lo immagino combattuto, ricco, vivace e formativo. Ci divertiremo».
Da qui arriva Ferrieri Caputi, il primo arbitro donna ammessa nella CAN A e B.
«Siamo una palestra di formazione per arbitri, dirigenti e calciatori. Pensate anche alla Cremonese neopromossa in A con i vari Carnesecchi, Fagioli e altri che sono partiti proprio dalla C»
A proposito di giovani, la C è un modello.
«Noi in sei stagioni siamo passati dal 41% all’81% di società che ricorrono all’impiego degli Under. La riforma delle riforme è pensare a un progetto condiviso di sviluppo del calcio giovanile».
Quante risorse hanno perso i club di Lega Pro a causa della pandemia?
«Abbiamo calcolato una perdita di 80 milioni, soprattutto a causa della chiusura degli stadi e delle mancate sponsorizzazioni. Ha funzionato il credito d’imposta, ora bisogna rifinanziarlo e renderlo permanente».
Lei ha parlato di nuova formula del campionato. Cosa intende?
«Nei playoff assistiamo al sold out degli stadi e ad ascolti televisivi altissimi. Vuol dire che dobbiamo dare ancora più spazio agli spareggi, perché regalano emozioni e attraggono pubblico. I giovani dicono che il calcio per loro è solo noia. Dobbiamo cambiare la formula, coinvolgeremo le società».
L’apprendistato professionalizzante quali vantaggi darà?
«Siamo a un passaggio epocale. Un calciatore con strumenti culturali cresce anche tecnicamente perché sa come allenarsi, alimentarsi e combattere contro il doping e le scommesse illegali. Abbiamo incontrato il contributo enorme di Gravina e dell’Assocalciatori. Le società assicureranno la formazione professionalizzante, adesso dai 18 anni e, con l’ultimo decreto a partire da gennaio, dai 15 anni. I club taglieranno le spese investendo sui giovani ed eviteremo anche le “rapine” dei talenti dai club che li formano. Nel decreto in discussione si interviene sgravando tutto il carico fiscale fino a 15 mila euro».
Da vicepresidente Figc, la riforma Gravina è davvero possibile in un clima spesso litigioso?
«Il tema è la sostenibilità. Pensiamo all’indice di liquidità: è mai possibile che la Serie C e la Serie B hanno lo 0,7 e la Serie A va in contrasto con la Figc per lo 0,5? Manca una cultura di sistema e questa visione egoistica è pericolosa».
Si parla spesso di tagliare il numero dei club.
«Siamo l’unica Lega che in 60 anni ha fatto un’autoriforma, passando da 90 a 60 squadre. È una cretinata dire che non vogliamo tagliare. Ma se la stessa cosa non si fa in A, in B e anche in D non risolviamo il problema».
Qual è il contributo delle nuove proprietà?
«Portano idee e visioni imprenditoriali. Penso al Potenza, alla Triestina, e alle novità straniere come Cesena e Ancona. In passato i cambi di proprietà portavano ai fallimenti. Adesso no. Non ci sono più i 113 punti di penalizzazioni in un anno. Si comincia a parlare di stadi nuovi, investimenti e rigenerazione urbana».
Eppure i problemi finanziari non sono risolti. Stavolta la Covisoc ha fermato Teramo e Campobasso.
«Mi dispiace profondamente. Nel merito vorrei parlarne dopo la sentenza del Collegio di Garanzia. Dico, riferendomi anche a quanto successo nel 2021, che non è solo un problema di risorse finanziarie. Le società devono cominciare a pensare che è meglio un calciatore in meno ma un professionista in più in alcuni settori strategici. Bisogna formare i dirigenti»
Che fine faranno le seconde squadre? Continua ad averne una solo la Juve.
«Per noi resta un discorso aperto, anche se negli ultimi anni è stato deviato dalle multiproprietà. Ne ho parlato di recente anche con il presidente della Serie A, Casini. Prendete gli esempi di Morata e Spinazzola: il primo passa da una seconda squadra e arriva subito, l’altro ci mette di più dopo aver girato tra i vari prestiti. È un tema importante».