Corriere dello Sport: “Serie A, scatta l’allarme. Abbiamo perso cinque ore di calcio”
L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma su un nuovo allarme lanciato dalla serie A.
Cinque ore di calcio giocato in meno, due minuti e mezzo in meno a partita. A furia di preoccuparsi dello spazio – da attaccare, da intasare, da difendere – il calcio ha smesso di pensare quadrimensionalmente e s’è dimenticato della variabile fondamentale del gioco: il tempo. Che vuol dire dire tante cose: sincronia dei movimenti, scelta dell’attimo giusto per inserirsi in attacco o entrare in tackle su un avversario, per esempio. Ma che alla fine si riduce a questo: la distanza tra sé e un risultato da portare a casa. Piuttosto che dilatarlo, per riempirlo di giocate e di spettacolo, si pensa a come farlo trascorrere senza che il punteggio cambi. E l’allarme lanciato recentemente anche da alcuni allenatori trova una conferma impietosa nei numeri: nelle sole prime 12 giornate di campionato, la Serie A ha smarrito trecento minuti di calcio giocato. Cinque ore sacrificate all’altare dei palloni sparati in tribuna e dei battibecchi ad ogni calcio di punizione. Con buona pace di chi si annoia sugli spalti o sbadiglia sul divano.
I numeri sono chiari e suggeriscono un’attenta riflessione su un tema storicamente considerato tabù nel calcio ma che merita oggi un approfondimento: l’introduzione del tempo effettivo di gioco per ridurre le pause inutili e massimizzare lo spettacolo. Nell’analisi di Opta emerge una chiara tendenza: se guardiamo agli ultimi dieci anni, nei 5 campionati top la durata media di un incontro è di 95 minuti e rotti, di cui poco più che 55 trascorsi effettivamente con il pallone in gioco. Le trasformazioni regolamentari più importanti degli ultimi anni, e cioè l’introduzione del Var e delle cinque sostituzioni, non hanno avuto un impatto evidente sulla durata complessiva del match e il tempo di gioco effettivo. Anche perché sono due parametri standardizzati sui quali calcolare il tempo di recupero.
La riflessione sull’introduzione del tempo di gioco effettivo non può prescindere da un’analisi su un campione più ampio e soprattutto più profondo, che comprenda anche i campionati top delle federazioni minori e le seconde divisioni. L’osservatorio Cies, punto di riferimento statitisco della Uefa, lo scorso aprile ha pubblicato uno studio che ha preso in esame le gare giocate da luglio 2019 a marzo 2021 nei principali 30 campionati nazionali e nei tornei di seconda serie di Italia, Inghilterra, Spagna, Germania e Francia. Alcune considerazioni sparse, al di là della diversa metodologia di elaborazione dei dati: in Champions League le partite sono effettivamente più fluide rispetto ai cinque campionati top; la Liga spagnola è l’unico dei tornei principali a collocarsi sotto la media in termini di percentuale di gioco effettivo; il recupero concesso dagli arbitri tendenzialmente non è influenzato dall’atteggiamento delle squadre ma vincolato a parametri standard (un minuto per l’ingresso dei medici o trenta secondi per le sostituzioni, ad esempio, più il tempo per per le review al Var).
Esattamente come le pause nella musica, le interruzioni di gioco sono parte integrante dello spartito di un match: servono a prendere fiato, a riorganizzarsi tatticamente, a spezzare il ritmo degli avversari, o in definitiva a far scorrere il tempo e basta. Circa il 20% dei canonici novanta minuti se ne va via perché il pallone è uscito dal terreno di gioco. In termini percentuali, secondo il Cies, l’Italia sarebbe addirittura tra le più virtuose in questo senso: 17,6% del tempo trascorso tra rimesse laterali, corner e rinvii dal fondo, solo in Israele sono più rigorosi. Quando l’arbitro fischia un fallo, invece, in media se ne va il 14,8% del tempo. Tradotto in secondi: 32,4 secondi bruciati in A e 30,7 in Serie B, comunque meglio rispetto agli spagnoli che si fermano per 34,9 secondi.