Corriere dello Sport: “Seppellite il nostro cuore a Frosinone”
“Disdetta e ingiustizia. Ora seppellite il nostro cuore a Frosinone. Al Palermo è stata negata la A. Nel silenzio lontano della “Favorita”, dove Monte Pellegrino si aff accia sullo stadio, idealmente, il rosa non ha trionfato sul nero, per questa volta Santa Rosalia terrà addosso il suo saio da eremita, non i colori-stato d’animo della squadra, il rosa e il nero, appunto. “Forza Palermo e Santa Rosalia!” è motto assoluto, infatti, dialetto dell’anima locale che ora, in nome della prima lettera dell’alfabeto calcistico negata, esplode ugualmente, consolatorio, tra il “Barbera” e la grotta della “Santuzza”. Sempre accompagnato, nonostante il lutto, dallo stendardo della soddisfazione incommensurabile, lo stendardo che tutto racchiude dell’implacabile impagabile imperdibile “genius loci” siciliano, anzi, sicano, se è vero i siculi sono quegli altri, gli antagonisti, i Catanesi, lo stendardo che reca tre sole lettere, MCN. Lasciamo che a decifrarlo sia l’eventuale estro dei ciociari, probabilente ignari dei sentimenti assoluti di un tifo che vive tra Ballarò, l’Albergheria, la Kalsa, Borgo Vecchio e Borgo Nuovo, Zen e perfi no viale Strasburgo, le “zone nuove”, dov’è lo stadio. Se è vero che esistono luoghi al mondo nei quali la conquista di un campionato, di una promozione, e perfi no la mancata vittoria, ha lo stesso valore di un’ascensione, di un miracolo, delle feste comandate, di sicuro Palermo, così come Napoli, è tra questi: “Todos caballeros,” tutti cavalieri in città, grazie ai rosanero, altro che Carlo V di Spagna, anche nell’amarezza. Di sicuro l’intera Palermo in questo istante guarda, dolente, l’acqua di Mondello, di Sferracavallo, forse anche di Cefalù, nel silenzio dei fuochi d’artifi cio, dei drappi ai balconi e altri stendardi ancora negati assieme al sogno di una “A” che sembrava lì, sembrava cosa fatta, restano però, a consolazione d’ogni ingiustizia evidente e infame, alti nel cielo degli spalti, il “Suca” e il “Suca forte”, autobiografi a verbale dell’intimo calcistico siciliano, polaroid degli attimi di gioia e nel nostro caso di esorcismo del pericolo mai scampato, del piacere negato. Peccato, in presenza di un altro epilogo, in questo momento sentiremmo ridere nel buio dei loro loculi, perfi no i tifosi del tempo in bianco e nero televisivo, il tempo artigianale, quando la parola “merchandising” era ignota alla Conca d’Oro, infatti, povere forzate, c’erano le madri o le mogli o le sorelle a confezionare sciarpe, bandiere e striscioni, chine sulle singer o le necchi, come in un quadro di Renato Guttuso, e perfi no mantelli, come quelli dei Beati Paoli, poveri e meravigliosi cardinali del tifo, invasati, pronti a innalzare corna, trombe e campanacci a corredo di un legame religioso verso la maglia che, sempre nel tempo, ha accompagnato l’emozione per la vista, laggiù in campo, dei “Sucrù”, dei Vernazza, dei Tanino Troja, dei Luca Toni, e ancora di Miccoli, di Cavani, così fi no a Antonino La Gumina e Nestorovski, colpito in fronte da una testata, anche questi presto innalzati nella quadreria degli hidalgo della città che ha nel pane e panelle la sua ostia consacrata, pure nell’amarezza della sconfi tta. Anni addietro, avrei voluto che la società mi nominasse Poeta Uffi ciale del Palermo, sciarpa personalizzata, uffi ciale, al collo come un Collare dell’Annunziata, ne scrissi perfi no sul giornale, nero, anzi, rosa e nero su bianco. Chiedevo solo uno sgabello, da dove osservare i giochi del destino alla Favorita, erano i giorni più cupi della storia della squadra, quelli della C, le mie parole dovevano servire a ricucire addirittura la ferita che ancora sanguina nel costato del tifoso del Palermo, la Coppa Italia del 23 maggio del ’74, persa ai rigori con il Bologna, con quell’arbitro, dal cognome mai rimosso… Se mai fossi riuscito nell’intento, se mai dalla società mi avessero convocato affi dandomi il compito, da svolgere, metti, accanto ai massaggiatori e ai cani poliziotto a bordo campo, è sicuro che avrei fatto ritorno perfi no alle fi gurine disegnate da Prosdocimi quand’ero ragazzino, le stesse dove si garantiva che “Il Palermo non si arrende, vita dura a tutti rende”, e ancora soprattutto a quelle lettere, tre, MCN, che, accanto al glorioso “Suca”, è forse l’In Hoc Signo Vinces preventivo dell’intera leggenda rosanero. Sono qui e ancora spero nella convocazione. Ora e sempre. Anche adesso che occorre asciugarsi le lacrime, ricacciare via rabbia per guardare avanti, oltre, Forza Palermo! Fulvio Abbate”. Questo quanto riportato dall’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport”.