Corriere dello Sport: “Qui Arabia: la nuova Premier dorata. C’è l’idea wild card per la Champions. Christillin glissa: «Mai dire mai…»”

L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sull’Arabia Saudita rinominandola “la nuova Premier Dorata”.

Hanno munto le vacche grasse d’Europa, saccheggiato gioielli preziosi e acquistato diamanti puri da sgrezzare trasformando il vento del cambiamento in una tempesta di sabbia. Hanno portato via i simboli del “calcio che conta”, come il pallone d’oro in carica (Benzema), l’idolo delle folle (Ronaldo), il grimaldello dei rivali qatarioti (Neymar), il centravanti del Brasile (Firmino), il centrocampista più in vista della Serie A (Milinkovic), uno dei giovani più ambiti d’Europa (Gabri Veiga, 21 anni), fino ad arrivare al ct campione d’Europa (Mancini). E in molti casi hanno dimostrato che per le superstelle del pallone c’è pure un’attrazione legata a questioni di fede e di appartenenza ai valori dell’Islam (Mahrez, Kanté, Kessie, Koulibaly e altre stelle africane). Gli arabi hanno sfrecciato su un’autostrada dorata mentre le nostre facevano slalom nel traffico del fair play finanziario.

SPESE. Nel 2022-23 i club della Saudi Pro League investirono 43,7 milioni di euro sul mercato. In questo 2023-24 la cifra per i trasferimenti estivi è già salita a 940 milioni, gli ultimi spesi dall’Al-Ittihad per l’ex laziale Luiz Felipe (annunciato con tanto di presa in giro per gli italiani e musica del Padrino in sottofondo) dopo il no di Salah. Aggiungendo alla somma i 700 milioni di stipendi garantiti solo per questa stagione ai top player appena arrivati, si sfonda la quota record di 1,6 miliardi. Saranno pure una goccia nell’oceano del public investment fund (Pif), che entro il 2025 supererà i 900 milioni di potafoglio, ma trasportano il calcio arabo già in un’altra dimensione. Il pozzo senza fondo della famiglia reale è il braccio operativo di “Vision 2030”, il progetto voluto dal principe ereditario Mohammad Bin Salman che come obiettivo si pone di diversificare gli investimenti di uno dei Paesi più conservatori al mondo (dove esiste ancora la pena di morte, la libertà di espressione è limitata e solo di recente le donne hanno acquisito il diritto di guidare, viaggiare o andare allo stadio), allontanandolo dalla dipendenza assoluta dal petrolio per investire in resort di lusso, social media, banche, ristorazione e intrattenimento.

E poi c’è il calcio. Gli arabi hanno comprato il Newcastle per avere un avamposto nel campionato inglese, il loro riferimento in termini di spettacolo, qualità, introiti e coinvolgimento dei fan. Nel Nord del Regno Unito studiano e imparano, portando il know-how in Medio Oriente per trasformare il loro Paese in un’oasi attrattiva. L’arrivo di Roberto Mancini (a 25 milioni annui più bonus) è un altro messaggio spedito al mondo: la nazionale dovrà accompagnare questo processo di sviluppo, mostrandone i progressi su scala internazionale. Forse i club arabi avranno una wild card per la prossima Superchampions: a Infantino (Fifa) non dispiacerebbe, Ceferin (Uefa) ha già detto no. «Mai dire mai» ha glissato ieri Evelina Christillin, membro della confederazione europea, a TvPlay.

VARCO. L’arrivo di Cristiano Ronaldo ha aperto il varco dorato. Poi lo ha raggiunto Benzema – e qualcuno immaginava già la classica corsa ad accaparrarsi le pensioni più remunerative – finché gli sceicchi hanno messo occhi e soldi su atleti nei migliori anni della propria vita calcistica come Neymar (120 milioni all’anno), Kanté (50), Fabinho (42), Mahrez e Koulibaly (30), Brozovic (25), Milinkovic (20), Firmino (20) e Malcom (18). Tutti con dei supercontratti, tutti dislocati tra i quattro club principali del Paese in una geografia del calcio saudita disegnata a tavolino dal governo: l’Al-Nassr e l’Al-Hilal nella capitale Riyad, dove si concentra il potere economico e politico, l’Al-Ittihad e Al-Ahli a Gedda, sulla costa, a un’ora di macchina dalla città santa di La Mecca. Soldi e prestigio si concentrano tra queste quattro realtà, che insieme hanno speso il 90% dei 940 milioni citati in precedenza. Le altre 14 società non appartengono al fondo Pif, ma acquistano calciatori di medio livello (la regola per i 18 club è: massimo 8 stranieri) con il supporto del governo: tramite degli appositi moduli segnalano i profili che vorrebbero acquistare, la Lega stabilisce il budget ritenuto corretto e poi sblocca i fondi su conti correnti co-intestati. Lo chiamano mercato centralizzato.