“Sdrammatizziamo? Ok, sdrammatizziamo. «Finocchio, buttala fuori!!!». Espulso. Chi? Paolo Magnani, allenatore della Primavera del Bologna. Succedeva cinque anni fa. «Finocchio, buttala fuori», l’aveva urlato al giocatore avversario, perché uno dei suoi era a terra infortunato. Sdegno. Disgusto. Indignazione. Brrr. Il Magnani si giustificò: non è colpa mia se lui è Finocchio. Amico, così peggiori le cose. Vabbè, poi si scoprì che il ragazzo si chiamava sul serio Finocchio, Francesco Finocchio. Il giudice capì, lo sdegno si sgonfiò, il cartellino rosso arrossì di vergogna, Finocchio conobbe cinque minuti di celebrità, Magnani evitò la squalifica: che colpa aveva, del resto? LITI E INSULTI. L’insulto di Sarri a Mancini rientra nella casistica delle liti tra allenatori, reparto villanerie, le trovi nel settore travasi di bile. L’uso del termine «finocchio» e simili è già agli atti pallonari: il portiere della Reggina Soviero se ne uscì con un sorprendente «ricchione» rivolto a Del Piero: il bruto accompagnò il fine gesto con un furtivo sventolio della mano, inequivocabile il labiale di Diamanti in un Bologna-Genoa («Finocchio di m…» rivolto a Borriello). Del resto, di che ci stupiamo? Il più grande di tutti, Maradona, ad anni alterni la butta là: Pelè era gay. Torniamo a noi. Di solito l’allenatore se la prende con l’arbitro (un classico: ma vaff….., è rigore, fuorigioco, rosso, giallo eccetera), con i giocatori avversari (Giagnoni stese Causio con un cazzotto durante un Juve-Toro nei ruspanti anni 70), con i tifosi propri (Capello, dito medio ai tempi del Real) e della squadra opposta (la folle corsa di Mazzone in Brescia-Atalanta, Delio Rossi, dito medio a quelli della Roma, Cosmi che esce dall’Olimpico urlando «Forza Roma» ai laziali), talora menano i propri giocatori (gli schiaffi di Rossi con Ljajic, la scazzottata tra Di Canio e Clarke); diciamo che è meno frequente l’attacco frontale al collega. E quando capita fa un certo scalpore. STUMPF, NEL SEDERE. Il calcio nel sedere che Silvio Baldini rifilò a Mimmo Di Carlo (Parma-Catania, 2007) è una scena da cartoni animati, talmente rozza e genuina da far ridere. Che hai detto? Stumpf, beccati questo. Più carognesco il ditino che Mourinho rifilò nell’occhio di Tito Villanova, in un «Clasico» finito in rissa. Sempre Mou, in un Arsenal-Chelsea, spinse all’esasperazione quel distinto signore di Arsene Wenger. Contatto tra i due, una spintarella, fatti più in là, la simulazione del più coatto e antisportivo dei gesti: il testa a testa, come due che vengono alle mani per un parcheggio. Li divisero. Amarsi mai, per chi si odia come noi. La rivalità tra allenatori è fisiologica. Ce l’hai con me? Ce l’ha con me? Bisoli a Foscarini, in un Cittadella-Cesena di B. Lo beccò la telecamera: «Aspettami dopo». Ma anche no. Come fecero Julen Lopetegui e Jorge Jesus in un Benfica-Porto dell’anno scorso. Scena: a fine partita i due si avvicinano, si abbracciano, Lopetegui sussurra una cosuccia all’orecchio del collega. Apriti cielo: se non si menano, è solo perché intervengono gli altri. In un Siena-Juventus del 2012 l’avvelenato Cosmi e Carrera, il vice di Conte, ripercorsero a colpi di maledizioni e ingiurie i rispettivi alberi genealogici. Persino il mite Guardiola in un Barcellona-Copenhagen divenne vittima degli strali di Solbakken: il danese gli si avvicinò con la bava alla bocca, puntandolo con l’indice. M’hai provocato? E mo’ me te magno. VELENI E PUGNI. L’area tecnica davanti alla panchina può essere come il Muro di Berlino ai tempi della DDR o una giungla dove vale la legge del faccio ciò che mi pare. Che dire della sceneggiata che qualche stagione fa misero in piedi Mazzarri e Cagni durante un Empoli-Reggina che da 3-0 passò ad un clamoroso e discusso 3-3? Si insultarono per venti minuti, e non erano nemmeno in fascia protetta. Ai tempi della Premier, Mancini (allora al City) andò a togliere il pallone che Moyes (Everton) stava trattenendo tra le braccia: si era nel recupero, nervi tesissimi. Perché basta un niente e si deraglia. In Colombia, qualche anno fa, l’allenatore dell’America Calì, il simpatico Diego Umana, durante un derby contro il Deportivo Calì, prima si becca per un’ora con Daniel Carreño, poi si stanca, si avvicina alla panchina avversaria e – pum – rifila un pugno dritto nel muso del collega e se ne va dando le spalle alla scena del crimine. Che è questo rumore? E’ il gong”. Questo quanto scrive l’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport”.